Alessandro Tessitore, giovane associato di Neurologia, un brillante e ‘moderno’ ricercatore

Fare ricerca d’eccellenza in Italia, anzi a Napoli, si può. Sempre che si abbia un buon mentore e si lavori con sacrificio e dedizione. La storia di Alessandro Tessitore, giovane associato di Neurologia a Medicina della Seconda Università, responsabile del Centro Parkinson del Policlinico, sembra avere queste caratteristiche e racconta
l’esito positivo del rientro di uno dei tanti ‘cervelli in fuga’. La sua esperienza all’estero ha radici lontanenel tempo. “Frequentavo il quinto anno di Medicina quando chiesi al prof. Gioacchino Tedeschi di seguirmi nel lavoro di compilazione della tesi di laurea. Il professore era di ritorno da una lunga e fruttuosa esperienza negli Stati Uniti, al National Institute of Health (NIH) di Bethesda. Qualche anno più tardi, da specializzando in Neurologia, chiesi di poter svolgere, in quello stesso Istituto, un breve periodo di permanenza. Quel che doveva essere un breve periodo, sei mesi, durò tre anni. Mi spinse a restare il desiderio di vedere realizzato il progetto a cui stavo lavorando. Non volevo essere solo ‘una meteora’, ma per veder realizzato un progetto di ricerca occorrono almeno 3 anni. Così congelai la Scuola di Specializzazione in Italia e rimasi lì. Al mio ritorno, la collaborazione con i miei colleghi americani, i professori Daniel Weinberger, Anand Mattay e Ahmad Hariri, non si è interrotta”, racconta il prof. Tessitore. Un’esperienza importante quella negli Stati Uniti: “i ricercatori italiani sono generalmente considerati molto ‘smart’ e non v’è dubbio che il provenire da una Scuola conosciuta e stimata è stato per me un ottimo lasciapassare. Ma negli USA la meritocrazia è l’unico parametro che guida i percorsi accademici e le soddisfazioni che hanno costellato la mia permanenza all’NIH hanno richiesto una dedizione assidua e continua”.
L’importanza di avere un buon mentore
Le motivazioni del rientro in Italia: “Dovevo concludere la Specializzazione innanzitutto. Poi avevo una progettualità italiana promossa dal prof. Tedeschi, il quale, se mi aveva spinto a partire, mi ha anche incoraggiato a tornare. Oggi ho 40 anni e sono un associato con l’abilitazione nazionale voluta dalla Gelmini. Per me, quindi, è stato fondamentale avere un buon mentore come il prof. Tedeschi: una figura che guida, redarguisce e incoraggia nei momenti giusti”. Al rientro in Italia, nel 2004, l’allora specializzando si dedica anima e corpo allo studio e alla clinica: “Ho compreso ben presto che la ricerca non può e non deve essere mai disgiunta dal ‘paziente’. Fin dal mattino presto mi occupavo dell’attività clinica, nelle ore pomeridiane e fino a tardi mi dedicavo alla mia attività di ricerca costituita dalla scrittura di progetti, organizzazione del gruppo di ricerca, interpretazione dei dati, lettura ed aggiornamento continuo dei lavori della letteratura. Tutto questo lavoro era ricompensato dai lavori ‘made in Napoli’ che cominciavano ad essere apprezzati dalla comunità scientifica: prima gli studi sulla sclerosi laterale amiotrofica, poi quelli sulla malattia di Parkinson, il mio attuale campo d’elezione, e, infine, quelli sulle cefalee in generale e l’emicrania in particolare. Nel frattempo, bisognava trovare lo spazio da dedicare all’attività didattica che dovrebbe essere, a mio avviso, il primo dovere di chi lavora all’università: insegnare ai più giovani ciò che si ha avuto la fortuna di imparare e di conoscere. Heidegger diceva che insegnare è più difficile che imparare perché insegnare significa ‘far imparare’. Credo che insegnare sia senza dubbio un compito molto complesso ma anche incredibilmente affascinante. Al pari della ricerca”.
Parkinson e cefalee, i temi di ricerca
Attualmente le ricerche di Tessitore sono focalizzate sui disordini del movimento: la malattia di Parkinson ed i cosiddetti parkinsonismi. “Sebbene, come è noto, la malattia di Parkinson ed i parkinsonismi siano malattie con un importante coinvolgimento motorio, sono fermamente convinto che nuove conoscenze sui meccanismi che sono alla base di queste malattie (si direbbe fisiopatologia) deriveranno dallo studio dei sintomi che motori non sono, come, ad esempio, i deficit olfattori, il disturbo delle fasi del sonno REM, le alterazioni della processazione del dolore e molti altri. Allo stesso modo, sono convinto che le tecniche di risonanza magnetica avanzate stanno consentendo e consentiranno una conoscenza sempre più approfondita dei fenomeni neuronali che sottendono le diverse patologie neurodegenerative la cui pandemia è in costante peggioramento”. In questo campo, sottolinea Tessitore, la comunità scientifica italiana è una delle più apprezzate e stimate al mondo, “sebbene vi sia una competizione molto serrata in termini di qualità e quantità produttiva con altri centri di studio europei ed americani, competizione che ci vede in svantaggio per la scarsa disponibilità italiana di fondi da indirizzare alla ricerca. Tuttavia, nonostante le difficoltà, il nostro gruppo ha dato la paternità a diversi progetti di ricerca che sono stati particolarmente apprezzati dalla comunità scientifica: alcuni lavori sulla fisiopatologia di fenotipi particolari di emicrania (come l’emicrania con aura e l’emicrania vestibolare) che ci hanno fatto guadagnare le copertine di prestigiose riviste internazionali del settore, oltre agli studi sui sintomi extra-motori della malattia di Parkinson, come, ad esempio, la faticabilità”.
“Da soli non si va da nessuna parte”
La questione fondi resta una nota dolente in uno scenario dove le risorse ministeriali vengono somministrate con il contagocce. L’identikit del ricercatore di oggi, secondo Tessitore, deve essere quello di una persona capace di fare fund raising e di essere parte di una rete, perché da soli non si va da nessuna parte. “L’Italia è il fanalino di coda per finanziamenti alla ricerca, ma, nonostante i numerosi tagli, la ricerca italiana continua a classificarsi fra le migliori in Europa e nel mondo. È pertanto assolutamente necessario partecipare, in collaborazione con colleghi europei, a bandi di ricerca europei/internazionali più competitivi ma certamente più ‘remunerativi’. Penso ai programmi Horizon 2020, al EU Joint Programme–Neurodegenerative Disease Research, ai fondi europei destinati alle malattie rare. Bisogna lavorare in un’ottica non provinciale, non solo di Ateneo, ma riuscire ad inserirsi in una filiera, un network di collaborazioni quanto più ampio possibile per accedere a progetti internazionali che richiedono competenze varie. È necessario un know how non solo scientifico, ma anche burocratico e amministrativo per cui un ricercatore da solo non ce la può fare”. Il ricercatore, quindi, deve essere bravo nel riuscire a cogliere risorse da fonti diverse: dai grandi progetti internazionali, dalle fondazioni, come la Michael J. Fox Foundation, fino ai fondi, di minore entità, provenienti da bandi di ricerca di società scientifiche nazionali o internazionali o di associazioni ed onlus. “Ad esempio, alcuni nostri progetti di ricerca nel campo delle cefalee sono stati finanziati dalla Fondazione Italiana Cefalee (FICEF) e abbiamo recentemente sottomesso una richiesta di finanziamento per 500 mila euro alla Michael J. Fox Foundation (MJFF) per la ricerca sulla Malattia di Parkinson. Insomma, oggi non bisogna pensare
a come portare fondi in Ateneo. In Italia siamo ancora lontano da questa mentalità e spesso chiusi nelle singole realtà non solo di Ateneo, ma addirittura di Dipartimento. Fortunatamente qualcosa sta cambiando e spesso i progetti vengono premiati proprio per la partnership e per la multidisciplinarietà dei temi”.
Valentina Orellana
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