Famiglie immigrate ed interreligiose, il sostegno alla genitorialità dell’Università

Sportello di sostegno alla genitorialità: è il servizio di consulenza e formazione per i genitori, attivo presso l’Università Parthenope in collaborazione con le attività di ricerca del Laboratorio ‘Donne, Genere, Formazione’ della Federico II. Lo sportello, voluto dalle docenti del Dipartimento di Scienze Motorie Marisa Iavarone e Fausta Sabatano e dalla prof.ssa Francesca Marone della Federico II, è pensato per orientare e seguire le famiglie a variabile interculturale ed interreligiosa. “Secondo l’Istat il 16 % delle famiglie immigrate è costituita dalla variante interculturale. Sono frequenti i casi di nuclei formati da madri dell’est europeo, padri africani e figli nati in Italia che parlano l’italiano a scuola e spesso anche a casa, come lingua veicolare tra i genitori”. Lo sportello, al quale ci si può rivolgere dal sito internet di Ateneo (cpo.uniparthenope.it), vuole essere uno strumento per facilitare l’integrazione e accompagnare questi genitori nel loro rapporto con i figli: “Costruire una famiglia sana ed unita è difficile anche in una situazione ideale, figuriamoci quando convivono due culture e due religioni diverse, delle quali i genitori vogliono trasferire l’ethos ai figli”.
L’esperienza finora realizzata con il Laboratorio ha visto la partecipazione di 10 famiglie a variante interreligiosa, cioè con genitori entrambi stranieri ma di nazionalità diverse (in prevalenza madri dell’est Europa di orientamento ortodosso o agnostico e padri magrebini di religione musulmana). “Le famiglie hanno partecipato al percorso di formazione per sei mesi con una frequenza di due incontri mensili – racconta Iavarone – Sono, però, per lo più le madri a farsi carico della formazione culturale dei figli, e questo risulta evidente anche dalla frequente assenza dei padri agli incontri ‘per motivi di lavoro’. Quello che emerge, alla fine dei nostri studi, è che i figli venuti al mondo da queste unioni, nati e avviati alla scolarizzazione nel nostro Paese, per volontà paterna ricevono quasi sempre un’educazione, almeno formalmente, improntata ai principi dell’Islam. Questo avviamento viene spesso chiesto e preteso dal padre (religioso) alla madre (non religiosa), la quale tende a rispondere a questa richiesta solo in nome di una presunta armonia familiare, ma senza un convincimento reale”. Il paradosso educativo, spiega la docente, “si verifica quando i figli di queste coppie, ufficialmente di religione musulmana, frequentano abitualmente la moschea e la scuola islamica il venerdì, dove vengono accompagnati dalla madre, che al tempo li conduce ‘clandestinamente’ anche al catechismo nell’intenzione di non privarli di un’occasione educativa e culturale significativa per i bambini che crescono nel nostro Paese, consapevoli che il rito di passaggio della prima comunione veicola possibilità di integrazioni e di relazioni sociali ulteriori”. Il Laboratorio ha cercato quindi di guidare le madri verso la consapevolezza che questo comportamento trasmette un messaggio educativo basato sull’ipocrisia e sulla finzione: “Le madri che hanno preso parte all’esperienza formativa sembrano così aver compreso come fosse opportuno percorrere la strada del dialogo tra i modelli educativi in un orizzonte di valore realmente condiviso, ma soprattutto più franco e autentico”.
Un altro focus del Laboratorio ha riguardato, invece, il processo dell’identità personale inteso come ‘struttura narrativa’: “Le madri sembrano aver compreso che più forte è la capacità di apprendimento identitario, maggiore può essere la loro capacità di adattamento sociale – conclude la docente – Insomma, attraverso questo laboratorio si vuole fare un piccolo passo verso la realizzazione di una cultura familiare e della cittadinanza basata sull’equivalenza delle opportunità e sul riconoscimento e valorizzazione delle differenze. Il benessere delle famiglie, infatti, sta alla base di una buona integrazione e di una sana convivenza”.
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