Primo ostacolo il test d’ammissione

Veterani del Dipartimento, perché ormai al terzo anno di Scienze Motorie, due studenti illustrano pro e contro di una scelta che sembra semplice, ma in realtà è impegnativa a partire dal test d’ingresso. “Bisogna studiare per superare la prova di ammissione, i manuali di preparazione in vendita vanno benissimo. Prevalenti le domande sugli sport e giochi di squadra, altre materie oggetto della prova sono matematica, fisica e cultura generale, qualche nozione di biologia e anatomia serve”, sottolinea Mariarosaria Carotenuto. Al primo anno gli esami più difficili: “per me sono stati Biochimica e Biologia, ma dipende molto da come hai affrontato queste materie al liceo. Provenendo dal tecnico io non le avevo approfondite”, prosegue. Il primo anno si segue nell’aula Quadrifoglio, a Cavalleggeri: “l’ambiente è molto intimo, ti senti a casa. Veniamo divisi in base al cognome; probabilmente quest’anno si formeranno due corsi da 230 studenti ciascuno, che seguiranno in diversi giorni della settimana”. L’aula è molto grande: “fuori ci sono bar, pizzerie e quanto serve. Dal secondo anno si segue a via Acton, e lì inizi a conoscere molti più colleghi”. Il rapporto con i docenti è buono, specialmente da corsista: “se segui le lezioni ti rendi conto del docente più affabile o più duro, puoi porre loro domande a fine corso, o soffermarti a ricevimento. Sono facilmente reperibili e garantiscono prenotazioni on-line”. Le attività pratiche iniziano dal secondo anno: “si chiamano Teorie, Metodologie e Didattica degli sport di squadra, come: nuoto, pallavolo e basket, che pratichiamo al CUS”. La maggior parte degli studenti sono lavoratori: “io insegno danza coreografica e pilates, poiché ci si avvicina a questo indirizzo già con un diploma in una disciplina sportiva, per poi migliorare la propria professionalità con la laurea. Infatti c’è un abisso tra il conoscere un movimento e conoscere la biomeccanica. Se un’allieva si faceva male cadendo, prima non sapevo gestire la cosa, ora le so dare consigli sulla riabilitazione”.
Molto critico il collega Salvatore Marzullo sul fronte occupazionale: “innanzitutto bisognerebbe svolgere più attività pratica, due giorni a settimana sono pochi. Si dà troppa importanza alla teoria, concedendo molto spazio a discipline economiche, quando si potrebbe inserire un corso in ginnastica posturale, per differenziare maggiormente il nostro lavoro da quello dei fisioterapisti”. Salvatore è un personal trainer: “la mia è a tutti gli effetti una professione, purtroppo poco riconosciuta. Molti s’improvvisano professionisti con brevetti, essendo dunque incompetenti in materia. Ciò succede perché non esiste un albo che ci tuteli, e questo può diventare un problema che riguarda la salute collettiva”. Seppure la Legge Regionale sullo sport stabilisca che ci debba essere un laureato in ogni palestra, “di fatto non è così. Nel contesto napoletano c’è abusivismo di professione, per cui noi veniamo sottopagati con sei euro l’ora, e quasi sempre senza contratto. Dalle ASL non arriva nessun tipo di controllo, per cui la nostra figura è come se non esistesse. Tutto ciò succede per mancanza di cultura. Ci confondono ancora con l’ISEF”.
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