Storie di malati per esercitarsi all’ascolto, momento fondamentale della relazione medico-paziente

Come raccontare la storia di un malato? Con quale stato d’animo predisporsi all’ascolto? Che tipo di domande porre? Le questioni amletiche che si saranno posti gli studenti di Medicina coinvolti dal prof. Ciro Gallo, docente di Statistica Medica, nell’ambito del Laboratorio teatrale, nell’attività di raccogliere le testimonianze dei pazienti per poi metterle nero su bianco. L’esperienza è culminata nella pubblicazione del volume ‘Piccole storie di malati’, edito da Pensiero Scientifico Editore. “Il libro è nato in maniera inaspettata – racconta il docente – Non era stato pianificato, ma è il risultato di un ottimo lavoro svolto dai ragazzi. Le storie bellissime che hanno saputo raccontare ci hanno entusiasmato e abbiamo pensato di raccoglierne una selezione e farle conoscere anche ad altri”.
Da tre anni il prof. Gallo, con la collaborazione di Salvatore Cardone, regista e pedagogo teatrale, ha dato il via a questa ADE (Attività Didattica Elettiva), da tre crediti, per una comunicazione felice tra medico e paziente: “Quello che ci interessava era la creatività. L’obiettivo del progetto didattico è quello di indurre gli studenti a riflettere sul rapporto medico-paziente, sui valori che entrano in gioco in questa relazione e alla necessità di favorire il silenzio come giusta premessa alla capacità di ascolto, attraverso le dinamiche della performance teatrale”.
Il Laboratorio, che ha chiuso la sua terza edizione il 30 aprile con uno spettacolo messo in scena al Liceo Genovesi, basa il suo lavoro su testi narrativi più che teatrali veri e propri: ‘Un caso di pratica medica’ di Cecov per la prima edizione, ‘La schiuma dei giorni’ di Boris Vian lo scorso anno,  ‘Solomon Silverfish’ di David Foster Wallace in questa terza edizione. “Con i testi narrativi i ragazzi sono spinti verso la creatività, l’improvvisazione. Ricreando l’analogia possono mettere in scena se stessi, perché l’uso di questo strumento li proietta verso esperienze personali trasfigurate: possono esprimersi senza denudarsi del tutto”.
“I testi sono molto belli e ci danno stimoli diversi. Stare sul palcoscenico ed improvvisare è per noi studenti quasi una valvola di sfogo – racconta Alessia Stingo, che ha partecipato alla II e III edizione dell’Ade – Il prof. Gallo ci ha chiesto di prendere l’iniziativa creativa non solo durante il momento teatrale, ma di produrci in un lavoro di scrittura per raccontare delle storie”.
Accanto all’esperienza teatrale, ai ragazzi è stato chiesto, dunque, di raccogliere delle storie di malati proprio per iniziare a praticare l’ascolto. “Non mi interessava l’anamnesi, il tipo di malattia o il caso clinico in sé. Ho chiesto, invece, agli studenti di farsi raccontare dai pazienti in che modo la malattia avesse influito sulla propria vita e come l’hanno affrontata. Condizione essenziale è che fossero storie vere. Devo dire che hanno trovato non poche difficoltà. In un rapporto medico-paziente, basilare è la capacità di adattarsi, di ascoltare e di riuscire ad interpretare l’informazione che il paziente passa, non solo attraverso le parole, ma anche attraverso i silenzi, molto spesso legati alla vergogna o alla paura – spiega il docente – I ragazzi sono riusciti a conquistare la fiducia dei malati che hanno raccontato le loro storie, senza averne nulla in cambio, senza una cura, una ricetta, cose che ci si aspetta di solito da un medico. Gli studenti di Medicina non sono abituati a parlare con i malati ma quando diventeranno medici dovranno prendere consapevolezza dell’importanza di questo aspetto della professione”.
I partecipanti al Laboratorio, studenti dal terzo al sesto anno, sono riusciti a raccogliere storie normali, in cui spesso ci si può identificare, raccontate con un linguaggio semplice e sincero, a volte in prima, altre volte in terza persona, che danno uno spaccato di vita reale, della malattia con tutto il dolore, le ansie, le speranze e le paure che l’accompagnano.
“È stato uno strumento importante perché siamo passati dall’improvvisazione teatrale, durante la quale dobbiamo raccontare storie inventate, all’ascoltare i protagonisti della storia: aiuta a capire il punto di vista del malato – commenta Gaia Attardi che ha seguito tutte e tre le edizioni – Sicuramente non è facile avvicinarsi ad un ricoverato e chiedergli di raccontare la sua malattia. C’è paura, pudore, diffidenza. Io, ad esempio, alla fine ho chiesto ad un amico”.
“È stata una bellissima esperienza – afferma Fiammetta Danzo, iscritta all’Ade dalla prima edizione – Devi metterti in gioco, riuscire a rispettare silenzi che a volte avresti voglia di riempire, soprattutto io che sono una chiacchierona! Questa attività didattica mi ha insegnato l’importanza dell’ascolto e dell’empatizzare la sofferenza altrui. Un medico non deve soffermarsi solo sul tecnicismo, ma sentire ciò che sente il malato, mantenendo il giusto controllo. È stato difficile raccontare la storia – che riguardava una mia cara amica – ma meritava di essere scritta. Lei è stata la prima persona che mi è venuta in mente quando il professore ci ha affidato questo compito”.
“Dover raccontare una storia vera non è stato facile – aggiunge Stingo – Da una parte c’è il vantaggio di sottrarsi al rischio di far uscire delle banalità, frutto della fantasia di un medico in erba! Dall’altro porta ad un confronto drammatico, durante il quale emerge la malattia con tutta la sua crudezza e devastazione. La mia intervistata aveva un atteggiamento ambivalente, perchè non è facile aprirsi con una persona che ancora non è un medico, che non è lì per curarti, ma solo per ascoltarti. Devo dire che senza questo esercizio di scrittura sarebbe stato difficile capire veramente il senso dell’Ade. L’ascolto può sembrare facile, una trovata poetica, è, invece, una tappa fondamentale nella cura di tutte le malattie”.
Valentina Orellana
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