Un “Laboratorio aperto” il ciclo di incontri sul Novecento

All’Università Suor Orsola Benincasa è ritornato dal 25 febbraio “Ignobile Novecento: cultura di massa tra arte, consumo e trash”, un nuovo ciclo di incontri, il secondo, sulla “feconda babele di linguaggi” del secolo scorso. “È un progetto che nasce dalle discussioni del gruppo di lavoro formato da docenti e studiosi del nostro Ateneo”, spiega il professor Eugenio Capozzi, docente di Storia contemporanea. “Al centro del nostro lavoro c’è il senso dell’interdisciplinarità: nessuno di noi si vuole chiudere nella propria specializzazione perché l’importante nella ricerca universitaria è proprio stabilire ponti tra le varie discipline”. Ed in effetti il programma si articola in modo tale che il dibattito non lasci fuori nulla: dalle arti figurative alla letteratura, dall’architettura al cinema, fino alla fiction, il teatro e la musica. La spiccata interdisciplinarità è anche la chiave del coinvolgimento di una platea molto ampia, come conferma il professore: “Il seminario si rivolge a tutti coloro che hanno un interesse per la storia nel senso più ampio, dagli studenti delle materie strettamente umanistiche a coloro che si interessano di problemi sociali e giuridico-politici, in quanto è un tentativo di realizzare una mappa delle forme culturali volgarizzate del ‘900 per descriverne meglio i risvolti politico-culturali del mondo occidentale, in particolar modo dell’Europa e dell’Italia”. Ma perché il Novecento è definito un secolo ignobile? “Il Novecento è il secolo in cui ogni barriera tra cultura d’élite e cultura popolare viene travolta, in cui saltano tutte le distinzioni tra arte ed intrattenimento poiché il rimescolamento culturale che si è avuto nelle società di massa ha intrecciato indissolubilmente l’avanguardia e il mercato, la ricerca e l’arte popolare. Si creano così forme di cultura nuove, o meglio rinnovate”, chiarisce il docente. “Quest’anno abbiamo continuato nel censire una serie di forme di espressione tipiche di questo secolo, cercando però di fare un’operazione più profonda: capire come la medializzazione della società abbia influenzato il modo di pensare. Marshall McLuhan diceva che il mezzo è il messaggio, ed è questo il punto decisivo per capire la trasformazione culturale accaduta nelle società occidentali dell’epoca. L’ingresso massiccio dei mass media nella vita quotidiana ha condizionato il nostro modo di pensare e parlare. Noi abbiamo a tal proposito due seminari  interessanti: uno dedicato alla divulgazione dell’arte, nel quale ci si interrogherà su cosa diventa quando passa attraverso i media e il marketing; un altro dedicato alla lingua inglese che ci farà riflettere su come l’anglicizzazione della nostra vita trasformi il nostro modo di pensare e su come noi stessi trasformiamo l’immagine della cultura anglosassone nel momento in cui diventa cultura globalizzata”. Tra gli incontri in calendario quello con Gennaro Carillo, ad aprile, dal titolo “Com’è umano lei! L’Italia di Fracchia e Fantozzi”, di cui il prof. Capozzi dice: “Paolo Villaggio è il tipico esempio di una forma di arte nuova. Nel Secondo Dopoguerra italiano il varietà si trasforma completamente e Fracchia e Fantozzi sono figure che giganteggiano, sono qualcosa di più dell’avanspettacolo, sono una miniera di espressioni che entrano nel linguaggio quotidiano. Del resto l’aspetto linguistico è molto importante nell’arte volgarizzata. Abbiamo cominciato a parlare con le espressioni che ci hanno messo in bocca i comici della tv e adesso con quello che viene dal mondo dei social network, la continuazione dei mass media del ‘900 più diffusa, che ci influenza ancor più in profondità”. Diversi i relatori che si susseguiranno, i cui nomi sono frutto di un’attenta valutazione: “Abbiamo esaminato una serie di proposte. Una parte dei relatori sono nostri professori, l’altra è invece costituita da ospiti, intellettuali che abbiamo voluto accogliere perché funzionali al discorso che trattiamo. È il caso di Francesco Durante, giornalista e critico letterario che si occupa di varie forme d’arte, e che quindi ben rappresenta la contaminazione che vogliamo operare. Avremo poi Cristina Baldassini, ricercatrice di Storia contemporanea dell’Università di Perugia, che si occupa di rotocalchi popolari degli anni ‘50 e ci potrà quindi parlare di come quei settimanali disprezzati dall’élite culturale italiana abbiano invece rispecchiato valori, simboli, illusioni, speranze della parte maggioritaria della società italiana. Sarà con noi anche Giuseppe Galasso, che non è propriamente un nostro professore, nel senso che non ha mai avuto un ruolo incardinato nella nostra Università, ma è il padre spirituale e culturale di tutta l’area umanistica e storica del Suor Orsola. Non a caso il ciclo ha inizio con Galasso, che insieme ad Emma Giammattei e me parlerà del passaggio dalle masse all’audience, e terminerà con lo stesso Galasso, con una conferenza su un tema storico importante, il mito dell’uomo forte”. Il 28 maggio è la data di quest’ultima giornata di dialogo, che come le altre si svolgerà nella Biblioteca Pagliara. Per gli studenti di tutti i Corsi dell’Ateneo la frequenza ad almeno otto degli incontri, che si potrà attestare semplicemente apponendo la firma sull’apposito registro, dà diritto ad un punto bonus sull’esame finale di laurea. “Naturalmente non credo che questo sia il motivo principale per cui si debba seguire questo ciclo – puntualizza il professore – La ragione fondamentale è che si propone come una palestra interessante, permettendo agli studenti di uscire dalla gabbia di discipline troppo separate tra loro. Lo scorso anno la risposta è stata superiore alle nostre aspettative, in certi momenti l’affluenza era tale che non c’erano posti a sedere per tutti, è diventato una specie di happening. Ma a noi piace che sia così, con una partecipazione libera e attiva che si concretizzi in interventi, osservazioni, critiche, perché il nostro è un laboratorio aperto e speriamo che dia suggerimenti anche per temi di ricerca e tesi di laurea. In fondo questa serie di appuntamenti sono un modo per uscire da schemi vecchi e far venire fuori idee nuove”.
Angela Lonardo
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