Formazione, ricerca, digitale e verde per un nuovo modello di società

Interazione e sinergia tra i mondi dell’università, della ricerca e delle professioni. È questo il tema protagonista della tavola rotonda organizzata dal Rotary Club Napoli Sud Ovest il 22 giugno. A dibattere sulla piattaforma Zoom, moderati dal direttore di Ateneapoli Gennaro Varriale e con punte di oltre 160 uditori, il Ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi e alcuni autorevoli docenti della Federico II. Filo conduttore della discussione, lo slancio che si dovrà dare alla fase di crescita che seguirà l’emergenza Covid, nonché la necessità di contribuire fornendo risposte alla società e formando professionisti e ricercatori pronti a guidare il cambiamento.
La discussione prende il via con il Ministro Gaetano Manfredi e con una frase che ama ripetere: “Il futuro sarà diverso dal passato”. Ma cosa vuol dire? La società globalizzata sembrava spingersi verso un modello di sviluppo di cui molti stavano già evidenziando i limiti della sostenibilità e della possibilità di garantire crescita a tutti. La pandemia si è quindi inserita in una trasformazione della società che era già in atto e ne è stata un acceleratore, velocizzandone i processi, per cui è avvenuto in pochi mesi quello che sarebbe avvenuto, comunque, ma in più anni. Tre i punti su cui il Ministro si sofferma: il problema della formazione, che interessa sia l’università che il mondo del lavoro; la ricerca, come cambierà e quali saranno le sue priorità;  le transizioni digitale e verde. Parte da quest’ultimo punto: “Digitalizzazione non significa semplicemente usare un computer, ma impiegare le tecnologie abilitanti del mondo digitale. Significa utilizzazione dei dati per la gestione dei servizi, rivoluzione connessa all’intelligenza artificiale – e quindi avere sistemi intelligenti che sono capaci di auto-apprendere e di decidere al nostro posto -, utilizzazione delle tecnologie Blockchain”. Si va nella direzione di uno sviluppo che sia “più sostenibile, con la riduzione dell’impatto dei combustibili fossili, ma anche nell’affrontare i cicli produttivi non più come lineari, bensì come circolari e in cui alla base c’è il recupero della materia”. Qualsiasi operatore, qualunque sia il suo settore di appartenenza, deve “possedere competenze digitali e green. Abbiamo due sfide. Adeguare a queste competenze trasversali i nostri progetti formativi per i ragazzi che vanno all’università. E ancora, formare le persone che già lavorano facendo in modo che queste possano aggiornare le proprie competenze”. Nella formazione continua, “che è alla base della nuova organizzazione del lavoro, le università avranno un ruolo non esclusivo ma sempre più importante, perché quello che si fa nella ricerca si deve riportare rapidamente nella professione e nel lavoro. Come organizzare il lavoro del futuro insieme alla formazione continua? Questa è una sfida per lo Stato e per tutto il mondo delle professioni poiché è una risorsa importante per lo sviluppo di un paese ad alta tecnologia e ad alta competenza”. Quanto alla ricerca che, come ha dimostrato l’esperienza Covid, si muove in direzione di una sempre maggiore velocità, transnazionalità e apertura: “ha acquisito nuovamente il suo valore nella società poiché, dopo anni di deriva antiscientifica, ci si sta accorgendo di quanto questa impatti sui bisogni primari di tutti. Oggi il ricercatore non può pensare solo al risultato del suo lavoro, ma anche a quale sarà il suo impatto sociale. I ricercatori devono dare un risultato scientifico valido, ma devono anche saperlo tradurre per la comunità”.
 
Area medica e bioingegneria
 
Coronavirus, diffusione della malattia, test diagnostici e punti critici da migliorare sono i temi alla base dell’intervento del prof. Giuseppe Castaldo, Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche, responsabile del Laboratorio di diagnostica molecolare del Ceinge. Il docente riflette sulla domanda più comune posta dai non addetti ai lavori, ovvero da dove sia nato il Covid e sulla cui origine naturale si è ormai concordi. “Dove migliorarci? – prosegue – Anche in futuro dovremo essere pronti a prevenire o riconoscere immediatamente nuove eventuali epidemie consapevoli del fatto che verranno. E, forse, dobbiamo arrivare ad un concetto di transnazionale che deve investire i governi che devono collaborare sotto la guida dell’Organizzazione Nazionale della Sanità”. Secondo punto su cui si sofferma è la diagnosi: “Non eravamo preparati. Abbiamo pochi medici in Italia che si occupano di malattie infettive sicché dovremo potenziare, nel nostro Paese e in Europa, queste competenze”. Un errore, l’aver messo in campo test, molti dei quali rivelatisi poco utili al momento della diagnosi: “Non dobbiamo commettere l’errore di pensare che il tampone, unica arma di laboratorio a nostra disposizione, debba essere appannaggio solo delle strutture di riferimento. Il problema più delicato che avremo non sarà l’eventuale ripresa di Covid con l’impatto devastante che ha avuto lo scorso marzo, bensì dover distinguere dal Covid tutte le epidemie stagionali che cominceranno a venire dal prossimo ottobre”. Ciò significa: “mettere a disposizione i tamponi anche dei laboratori più piccoli, quelli lontani, formare gli operatori. In questo, la Federico II, in una meravigliosa collaborazione che si è stabilita tra le aree mediche e quelle di bioingegneria, sta lavorando per sviluppare dei sistemi di analisi di tamponi rapidi che in poco tempo diano i risultati, semplici da utilizzare e da mettere a disposizione anche dei laboratori di periferia”. Cosa accadrà nei prossimi mesi non si può prevedere, ma “è difficile che il virus scompaia in tutto il pianeta. Anche nel nostro laboratorio del Ceinge stiamo mettendo a punto dei test semplici su vasta scala che ci aiuteranno a distinguere l’influenza comune rispetto al Covid e speriamo di metterli a disposizione della comunità scientifica, condividendoli rapidamente, già dalle prossime settimane”.
 
Collaborare più che competere
 
Pensare e riprogettare quello che in passato era ovvio. Da questa considerazione parte l’intervento del prof. Stefano Consiglio, Direttore del Dipartimento di Scienze Sociali, che parla di didattica e public engagement.  “Non esistono soluzioni ottimali. La scarsità del tempo a disposizione ci impone di identificare scelte soddisfacenti. Dobbiamo mettere al centro gli interessi degli studenti e della comunità, superare le logiche lineari e accettare di operare in un sistema che richiede capacità di lavorare in gruppo, di contaminazione tra ricerca, didattica e terza missione e di costruire collaborazioni”. In un contesto in cui il Covid ha ridotto gli spazi per gli studenti e rende loro difficile raggiungere le sedi universitarie, “il Dipartimento di Scienze Sociali, che insiste nel cuore di Napoli, su San Gregorio Armeno, immatricola 400 studenti e il 60% segue le lezioni. Noi dobbiamo garantire almeno il 50% di lezioni dal vivo, ma anche fare in modo che gli studenti possano essere presenti e dar loro la possibilità di vivere l’attività didattica”. Il centro di Napoli, “che prima aveva un problema di overtourism”, adesso vede “bar, pizzerie, bed and breakfast, centri culturali e religiosi vuoti”. L’obiettivo del Dipartimento: “è creare una collaborazione con queste realtà. Noi vogliamo contaminare il nostro centro antico facendo entrare gli studenti in questi spazi e chiedendo loro, in cambio, di donare ore di volontariato a queste realtà. In parallelo stiamo anche provando ad organizzare una ospitalità diffusa tra chi ha i bed and breakfast e i tanti studenti che, invece di vivere a chilometri dal Dipartimento, potrebbero avvicinarsi”. In questo nuovo scenario, in conclusione, “la capacità di collaborare diventerà strategica e sarà molto più importante della capacità di competere”.
Innovazione nelle scienze umane attraverso la contaminazione con il digitale è il fulcro dell’intervento del prof. Andrea Mazzucchi, Presidente della Scuola delle Scienze Umane e Sociali. Il Covid-19 è stato un elemento di distopia, spiega il docente, ma gli elementi di crisi sono anche quelli che possono produrre innovazione. “Negli ultimi decenni, ci eravamo convinti che la politica fosse impotente, che fosse impossibile modificare il sistema. Invece, la reazione che la società e il sistema delle competenze hanno messo in campo ha mostrato che forse il mondo siamo in grado di ripensarlo e di migliorarlo”. In un contesto in cui c’è bisogno di comunità e si può provare, con i progetti politici e il sistema delle competenze, a dare senso al presente e modificare il futuro, “il contributo delle scienze umane e sociali è decisivo perché non solo sono quelle che possono avvantaggiarsi della transizione al digitale, ma sono in grado di interpretarla. Questa transizione, come umanisti, dobbiamo assumerla perché soltanto con la contaminazione dei saperi, con l’intersezione tra i paradigmi conoscitivi caratteristici propri delle scienze umane e quelli propri delle scienze dure possiamo provare a rompere l’inerzialità dei percorsi di ricerca”. La figura dell’umanista digitale “va assunta come decisiva anche per la capacità che gli umanisti hanno di governare il digitale, di chiedere ad esso risposte efficaci. Questa è la strategia che può offrire il nostro contributo, ma se saremo in grado di contaminare saperi e paradigmi”.
Anche la didattica professionale ha risentito dell’emergenza, “si è trasformata, ha scoperto nuove strade ed è fortemente migliorata”, afferma il prof. Edoardo Cosenza, Presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Napoli. Il futuro sarà ibrido anche nel caso dei crediti professionalizzanti, in parte in aula, in parte in teledidattica, “e questo darà la possibilità di aderire anche a chi è lontano e comporterà una maggiore efficienza”. Il docente è anche uno dei principali attori nella costruzione del  Polo Est di San Giovanni a Teduccio: “Deve sempre più essere il luogo della contaminazione e della trasversalità. Il futuro sono anche i laboratori congiunti pubblico-privati. Stiamo per realizzare un laboratorio importantissimo con il gruppo Merck, uno dei più grandi gruppi di biotecnologia, di medicina a San Giovanni, perché nella contaminazione tra ingegneri e medici nasceranno delle prospettive straordinarie”.
 
La ricerca dei luoghi identitari
 
Chiude il prof. Matteo Lorito, Direttore del Dipartimento di Agraria nonché candidato alle elezioni per il rettorato insieme al prof. Luigi Califano. Cosa può fare un grande Ateneo per mettere a sistema una nuova formula integrata tra ricerca, innovazione didattica, nel rapporto con le professioni, il tutto finalizzato al placement? “Dobbiamo creare i presupposti per fornire ai nostri allievi una nuova attrezzatura intellettuale, delle nuove competenze che devono derivare da una maggiore integrazione delle nostre funzioni primarie. Il post Covid accentuerà la necessità di diversificare, di creare dei percorsi nuovi, delle possibilità di interazione nuove, ovviamente con grandi collaborazioni. Tutto ciò deve interagire direttamente con la ricerca”. L’Ateneo dovrà continuare a coltivare il suo patrimonio di biodiversità culturale e di multidisciplinarietà. Il docente cita un’esperienza che ha visto protagonista il Dipartimento di Portici: “Appena finito il lockdown, abbiamo stretto un accordo con la Città Metropolitana, con la Municipalità di Portici, con la polizia municipale, e abbiamo aperto i parchi della Reggia, sono circa 50 ettari, alla popolazione”. Il sindaco “ci ha chiesto di procedere con questa apertura anticipata. Dall’afflusso e dai commenti dei visitatori che si sono riversati nei nostri spazi, abbiamo capito che, nei momenti di sfilacciamento nel tessuto sociale dovuti alla deformazione dei legami prodotta dal distanziamento, le persone, appena possono, vanno alla ricerca dei luoghi identitari. Se pensiamo a questo, anche le competenze più lontane dall’emergenza sanitaria diventano importanti”. In conclusione, “dobbiamo diventare un hub per fare interagire tutti gli organi professionali e dobbiamo farlo in modo da guidare noi il cambiamento anche collaborando con altri Atenei e con associazioni e realtà sul territorio. Le grandi università quali la Federico II, specialmente in un contesto come quello meridionale, possono fare un lavoro importante di rilancio e di crescita per chi è dentro, fuori o vicino all’università”.
Si apre un breve dibattito. Le considerazioni del Ministro Manfredi sulla sua posizione rispetto a quanto previsto dal piano Colao per l’Università: “Il piano Colao è stato un lavoro di una commissione molto qualificata, con grandi sensibilità al suo interno. Ho condiviso alcune delle idee che sono state portate avanti. Tre erano molto forti: valorizzazione del dottorato di ricerca come grande strumento per creare una classe dirigente diffusa, formazione professionalizzante e aumento della base di accesso all’università”. Rapporto tra ricerca pura e ricerca applicata: “Pensiamo che solo la ricerca applicata abbia una ricaduta sul benessere della popolazione. Però, se noi guardiamo le grandi scoperte, arrivano da ricerche che venivano dalla scienza di base. In qualsiasi ricerca c’è una ricaduta”. Ingrandire le aule per andare incontro ad un nuovo modo di fare didattica: “Fare innovazione didattica significa integrazione tra didattica in presenza e a distanza, ma anche proporre una didattica in presenza più attiva e abbandonare la vecchia idea dell’aula con cattedra e studenti che ascoltano. Sono convinto che gli spazi di studio cambieranno nei prossimi anni perché sono essi stessi strumenti per una didattica più innovativa”.
Carol Simeoli
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