La morte di Roberto Dinacci, persona perbene

La notizia della morte di Roberto Dinacci, domenica sera 2 marzo al tg di RAI Regione delle 23,00, è stata un pugno nello stomaco. Come altri ho sperato fosse un’omonimia e l’indomani mattina sono corso in edicola per verificare. Era proprio lui!! Un incidente stradale, l’auto che va fuori strada, finisce in una scarpata e poi contro un albero. Morire a 27 anni è sempre una cosa assurda, da non augurare neppure al peggior nemico. La morte di Roberto ci ha colpito ancora di più perché ad Ateneapoli lo conoscevamo un po’ tutti: studente universitario da 7 anni, prima ad Agraria e poi a Scienze Biotecnologiche – Facoltà a cui aveva dedicato molto tempo – sempre a metà tra studio ed impegno politico nella Sinistra Universitaria: consigliere di Facoltà e consigliere di Amministrazione, eletto come rappresentante degli studenti. Aveva organizzato convegni, iniziative culturali e di socializzazione, tra studenti e docenti, ed un forte impegno sugli ordinamenti didattici e la riforma dell’Università. Sempre in modo coerente ed appassionato. 
Sono e siamo, in redazione, tutti profondamente dispiaciuti e colpiti: è morta una persona perbene, intelligente, civile, impegnata, affettuosa, sorridente. Che sorrideva alla vita. È stato il nostro primo pensiero. Giovane, estremamente educato (dote diventata un po’ rara) e con un forte senso dell’istituzione. E sapevamo anche del suo forte impegno nel volontariato sociale, a Quarto, dove abitava. 
In questi ultimi due anni, Roberto era diventato tra i più stretti collaboratori, su Napoli, con ufficio in Prefettura, del Ministro della Funzione Pubblica, Luigi Nicolais, come componente dello staff della Segreteria. Nonostante ciò, l’Università non l’aveva mai abbandonata, né gli studi, né l’impegno sui temi dell’Università, anche come organizzatore della ‘Consulta dei Saperi’. 
Roberto era anche un gran tifoso del fratello Francesco, per il quale stravedeva e del quale era il maggior sostenitore: già Segretario della Sinistra Giovanile, già nel direttivo dei DS e, di recente, responsabile Enti Locali del Partito Democratico. 
Avevo sentito Roberto l’ultima volta due giorni prima della sua morte, venerdì pomeriggio, 29 febbraio, prima di andare ad un dibattito che vedeva tra i relatori il professore Ministro Nicolais, all’hotel Jolly per avere conferma dell’orario di inizio. Mi aveva detto che non sarebbe venuto perché doveva studiare gli ultimi due esami che gli mancavano per la laurea. 
Al funerale duemila persone ed una grande, collettiva, emozione. Tantissimi i giovani – moltissimi di Quarto e dintorni, ma anche tante rappresentanze studentesche delle Facoltà del Federico II, del Parthenope e de L’Orientale. E poi molti professori, i rettori Trombetti e Ciriello, Presidi di Facoltà, Direttori di Dipartimento, professori anche della Sun e de L’Orientale, ricercatori e dipendenti. E manifesti a lutto di tutti i partiti locali, da AN in poi. 
L’Università è una grande comunità, con migliaia di persone, dove quotidianamente convivono studenti, docenti e personale. Dove non mancano i problemi e gli attriti, ma dove c’è anche un forte senso di comunità, di appartenenza e di solidarietà che in occasioni come queste è particolarmente evidente. A questa comunità e per l’impegno costante di Roberto, per l’ampia stima di cui godeva, alla sua memoria ed alla famiglia, sarebbe bello se l’Università potesse mostrare un gesto di riconoscenza, di attenzione e di quella umanità di cui le istituzioni debbono essere esempio e di cui la Federico II, anche e soprattutto sotto la guida del prof. Guido Trombetti, ha più volte dimostrato. Come potrebbe farlo? Con una laurea alla memoria. Sarebbe un bel gesto. Lui l’avrebbe certamente apprezzato. Caro Roberto, mancherai a tutti. Anche a noi.
Paolo Iannotti
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