Coronavirus: gli effetti sull’economia

I cittadini sono fermi, le attività economiche anche e tutti i Paesi sembrano improvvisamente più lontani. L’emergenza che stiamo affrontando ha avuto, su tutti i fronti, pesanti conseguenze sulla società, tanto italiana quanto globale. Che cosa sta succedendo sotto il profilo economico? Quali sono gli strumenti della politica economica a cui far riferimento per una possibile ripresa?
Traccia un quadro della situazione (il 13 marzo), il prof. Tullio Jappelli, ordinario di Economia Politica presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche, Federico II. “A inizio marzo l’OCSE ha pubblicato un rapporto con alcune stime sull’impatto del coronavirus, basandosi soprattutto sulla stima che questo avrebbe avuto sull’economia cinese – illustra il docente – La Cina rappresenta il 17% della produzione mondiale, l’11% del commercio internazionale, il 9% del turismo mondiale e il 40% della domanda mondiale di alcune materie prime. Una contrazione economica in Cina, quindi ha forti effetti sul resto del mondo”. Due gli scenari considerati dall’OCSE: “In quello più ottimista, in cui l’epidemia era soprattutto concentrata in Cina, prevedeva una crescita dell’economia mondiale del 2,4%, inferiore alle proiezioni del 3% dello scorso novembre che già scontavano un rallentamento dell’economia mondiale dovuto alle tensioni commerciali tra Cina e USA ed altri fattori di incertezza come la Brexit. La previsione più pessimista, in uno scenario in cui l’epidemia si propagava al resto del mondo, indicava che la crescita mondiale nel 2020 si dimezzerà, all’1,5%”. Focalizzandoci sull’Europa e sull’Italia, “per l’Europa lo scenario peggiore dell’OCSE indicava una crescita di solo 0,8% nel 2020, rispetto a previsioni circa doppie dello scorso novembre, e per l’Italia una crescita pari a zero e effetti di trascinamento anche sul 2021”. L’epidemia, però, sta procedendo molto più velocemente del previsto “con la chiusura progressiva del movimento di merci e persone su scala globale. La settimana scorsa, la crisi si è trasmessa anche ai mercati finanziari, con una forte caduta dei prezzi dei titoli. Anche lo scenario più pessimista dell’OCSE andrà rivisto al ribasso”. Questi i fattori della crisi: “L’epidemia ha prodotto simultaneamente uno shock negativo sulla produzione di beni e servizi, amplificato dall’integrazione verticale della produzione a livello internazionale, una riduzione dell’offerta di lavoro e una riduzione della domanda dovuta alla maggiore incertezza. Tutto questo si è già trasferito sui mercati finanziari, con la caduta dei prezzi dei titoli, che ha forti riflessi sui bilanci delle banche e sulla loro capacità di erogare credito all’economia”. Quanto all’economia del nostro Paese, “è stata colpita per prima dal virus ed è particolarmente fragile. Molti settori ne hanno già risentito, come quelli del turismo, del commercio al dettaglio, dei trasporti. Il settore del turismo, ad esempio, pesa per circa il 6% sul Pil italiano, ma, considerando anche gli effetti indiretti e indotti, la stima raddoppia. Altri settori, come quello meccanico, sono fortemente integrati nella catena di produzione internazionale e risentono molto della chiusura degli scambi”. L’economia italiana “è anche tra le più fragili dal punto di vista finanziario. Dato il debito pubblico elevato, nei giorni scorsi ha risentito immediatamente, e più di altre, della crisi, con una caduta più accentuata del prezzo dei titoli ed un aumento dello spread”.
Qualche istruzione per l’uso: in che direzione ci si dovrebbe muovere ora? “Il rischio che si corre oggi è di fare troppo poco e troppo tardi – dice il professore – È molto difficile, durante l’epidemia, rispondere allo shock di offerta. In alcuni settori si può ricorrere al telelavoro, lo smart working, ma ovviamente ciò non è possibile nel caso del turismo, della ristorazione, dei trasporti e di molti altri settori. Anche laddove si ricorre al telelavoro, è molto probabile che vi sia una caduta della produttività rispetto al lavoro in presenza. Ciò perché molte imprese e la pubblica amministrazione non erano preparate a queste nuove forme di lavoro”. Quanto allo shock di domanda, “si può cercare di rispondere con politiche monetarie e con politiche fiscali. I provvedimenti fiscali del governo italiano di sostegno ai redditi di chi non lavora e delle imprese in difficoltà vanno nella direzione giusta, e andranno graduati a seconda dell’intensità del blocco produttivo e della durata della crisi. Ma sono chiaramente limitati dal nostro debito pubblico elevato, che fa sì che ogni aumento di spesa pubblica abbia un effetto di aumento dei tassi di interesse sulle nuove emissioni di debito”. Per quanto riguarda la politica monetaria, “fino ad ora la politica della Banca centrale europea è stata deludente, con interventi nel complesso limitati, annunciati da Christine Lagarde e una improvvida dichiarazione, cioè che lo spread italiano non è un problema della BCE, che ha dato la sensazione che ciascuno Stato europeo dovrà agire separatamente per affrontare la crisi”. In tempi eccezionali si dovrebbero prendere in considerazione strumenti eccezionali “come un intervento della BCE nel capitale delle banche per sostenere in questo modo indirettamente la capacità di spesa di imprese e famiglie. Secondo alcuni economisti, si potrebbero prendere in considerazione interventi ancor meno ortodossi, come una distribuzione diretta di fondi a famiglie e imprese. Si tratterebbe in sostanza di un intervento fiscale operato da un’autorità monetaria. Un’alternativa sarebbe una monetizzazione da parte della ECB di parte del debito pubblico, cancellando parte del debito degli Stati europei in proporzione del loro peso sull’economia europea, e consentendo in questo modo ai singoli governi di distribuire risorse in modo mirato ai settori e agli individui più deboli”.
 
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