“Il principio della prudenza va mantenuto”

“Io mi sono vaccinato. Non ho avuto alcun tipo di problema se non un leggero dolore nel sito di iniezione del vaccino. Un fatto molto normale, anzi un buon segno. Significa che il sistema immunitario si sta accendendo. L’infiammazione è la prima risposta del nostro sistema immunitario e non è una malattia. Se ci viene un po’ di infiammazione nel sito di inoculo del vaccino significa che il nostro sistema immunitario sta rispondendo. Ad inizio febbraio riceverò la seconda dose”, racconta il prof. Antonio Leonardi, Ordinario di Patologia Generale presso il Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche della Federico II, direttore del Centro trasfusionale del Policlinico, è uno dei medici che hanno ricevuto il vaccino contro il coronavirus. 
All’immunologo chiediamo ma come sono fatti questi vaccini? “Noi stiamo utilizzando quello prodotto da Pfizer – Biontech. È un vaccino che funziona come tutti. Mima una infezione ed induce nel nostro sistema immunitario una risposta specifica contro il virus del Covid 19. La peculiarità di questo è che mentre solitamente i vaccini classici utilizzano un virus inattivato o un virus ucciso o frammenti – pezzettini – di proteine virali, in questo caso sia Pfizer che Moderna utilizzano un pezzetto del genoma del virus che è quello che produce la proteina Spike, quella che il virus normalmente utilizza per infettare le nostre cellule. L’idea è di produrre anticorpi che si legano alla proteina Spike ed impediscono al virus di entrare nelle nostre cellule. Viene utilizzato un pezzettino di RNA, non tutto il genoma virale, circa 3000 basi, che poi è il pezzetto del genoma virale che produce la proteina Spike. È molto importante sottolineare che si impiega solo un pezzettino del genoma virale”.
Perché è così importante che si utilizzi solo un pezzettino del genoma virale nel vaccino? “Perché questo esclude che si possa generare un virus nelle nostre cellule. È un piccolo pezzettino, non un virus intero, e quindi il fatto che lo RNA entri nelle nostre cellule non significa che esse producano un virus. È una porzione di RNA non infettante e che non ha capacità di replicare”.
Quanto dura l’immunità?
Quanto dura l’immunità al coronavirus indotta dal vaccino della Pfizer? “Una risposta precisa a questa domanda oggi nessuno può darla. L’utilizzo del vaccino al di là dei test è iniziato a novembre o dicembre. Giorni fa è stata pubblicata la notizia che 5 mesi dopo la somministrazione della seconda dose è ancora persistente un elevato titolo di anticorpi contro il virus e di linfociti citotossici che uccidono le cellule infettate dal virus. Quando vacciniamo – è utile precisarlo – produciamo non solo anticorpi ma anche linfociti citotossici in grado di riconoscere ed uccidere eventuali cellule infettate dal virus. Chiaramente non possiamo dire dopo un anno dalla somministrazione del vaccino che cosa succede, semplicemente perché non è trascorso il tempo”. 
Se l’immunità sarà solo temporanea, il vaccino sarà un fallimento? “Si può fare come con il tetano, il richiamo. È immaginabile fare richiami della vaccinazione a tempi prestabiliti”.
Chi si vaccina può infettare chi non lo è? “Non infetta per quello che abbiamo detto prima. Nel vaccino diamo solo un pezzettino del genoma virale e non un virus intero. Stiamo solo utilizzando un piccolo pezzettino del virus ed è impossibile che si generi ex novo un virus dal vaccino”.
Quali sono le controindicazioni all’impiego del vaccino? “In questo momento non si possono vaccinare le donne in gravidanza ed in allattamento, i bambini ed i ragazzi sotto i 16 anni. Questo perché i test di tossicità non sono stati ancora completati per queste categorie. Sono in corso, ma i dati non sono stati ancora pubblicati e vagliati dalla comunità scientifica internazionale. Un’altra controindicazione alla vaccinazione riguarda le persone molto allergiche, quelle che hanno subito in passato shock anafilattico dopo la somministrazione di un farmaco o di un vaccino”. 
Il caso Norvegia
L’agenzia del farmaco della Norvegia a metà gennaio ha comunicato di avere registrato 23 morti tra persone anziane e fragili, associate alla vaccinazione anti Covid’ di Pfizer. Aggiunge che i trails su vaccino non includevano pazienti con malattie acute o instabili e pochi over 85. Poiché proprio la popolazione molto anziana ed affetta da altre patologie è considerata anche la più a rischio per il Covid, questi dati non rappresentano un campanello di allarme sulla sicurezza del vaccino? “L’associazione di due fenomeni non significa che ci sia un nesso causale tra i due eventi. L’Agenzia del farmaco norvegese dice infatti che le morti di soggetti anziani e con importanti patologie concomitanti dopo la vaccinazione potrebbero dipendere da un aggravamento delle patologie stesse e non dalla vaccinazione in sè. Giustamente, stanno indagando in dettaglio ogni singolo caso proprio per chiarire con un approccio scientifico la vicenda. Del resto, in Italia, ad esempio, sono stati vaccinati più di 33.000 over 90 e questa associazione non è stata osservata. Al momento direi che questi dati non mettono in dubbio la sicurezza del vaccino e sottolineano che la gestione dei soggetti anziani e fragili deve essere guidata dal principio della massima prudenza. Vorrei anche rimarcare che i trials clinici di fase I e II non permettono l’arruolamento di soggetti con gravi patologie per cui è importante riportare ogni evento avverso proprio per poter stabilire eventuali effetti indesiderati nelle popolazioni non comprese nella fase sperimentale”.
Una delle preoccupazioni di chi teme il vaccino anticovid è che lo RNA che si somministra possa interferire con il DNA del vaccinato. È una ipotesi plausibile o non può accadere in nessun caso? “Lo RNA che sta nel vaccino non può integrarsi nel genoma delle nostre cellule per un fatto chimico. È impossibile che lo RNA vada a confondersi con il nostro DNA”.
Oltre a quello di Pfizer e Moderna ci sono altri vaccini in arrivo? “In questo momento almeno un’altra ventina di vaccini hanno cominciato le prove. Stamane sul ‘New England Journal of Medicine’ erano riportati i risultati delle fasi uno e due del vaccino della Jhonson&Jhonson che non utilizza lo RNA come vettore ma un adenovirus. Pare che anche questo funzioni e dia protezione al novanta per cento e non si segnalano effetti negativi. Quando sarà disponibile non so. Dipende dall’autorizzazione delle agenzie regolatorie e bisogna completare tutti i test di tossicità, acuta e cronica, e di efficacia. Presumibilmente sarà questione di mesi. Diciamo sei. Per il vaccino di Astra Zeneca con ogni probabilità servirà un po’ meno tempo. Sono un poco più avanti della sperimentazione, anche se hanno avuto problemi durante i test di fase uno e due e stanno rifacendo alcune prove. Forse sarà disponibile tra circa tre mesi”. 
Le Università stanno partecipando alla corsa alla realizzazione di nuovi vaccini? “In generale sono attività che può portare avanti solo una industria farmaceutica. Produrre milioni di dosi di vaccino non è attività di una Università. Servono attrezzature industriali. Le Università studiano i processi biologici alla base delle vaccinazioni ed identificano pezzetti che possono essere utilizzati per fare le vaccinazioni. Ci sono nelle Università studi soprattutto sugli anticorpi, non tanto sulle vaccinazioni. Almeno che io sappia”. 
A febbraio, dopo la seconda dose di vaccino, almeno per lei l’incubo coronavirus sarà finito e potrà tornare alla vita di un tempo? “Il futuro sarà più roseo, però dire che sono vaccinato e non prenderò certamente il Covid è una forzatura. Si può dire che le probabilità che io prenda il Covid dopo essermi vaccinato sono enormemente minori. Da un punto di vista scientifico eventi a probabilità zero non esistono. Il principio della prudenza va mantenuto. Continuerò a mettere la mascherina, a lavare le mani con frequenza e ad evitare posti affollati. Precauzioni necessarie in questa fase in cui solo una piccolissima parte della popolazione è sottoposta a vaccinazione. Siamo ancora in una fase iniziale della campagna vaccinale”. 
 
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