“Per un Rettore quanto accaduto è stato l’incubo che si materializza”

Era a Brighton per alcune lezioni agli allievi del Phd nel quale insegna e, dopo la cancellazione di ogni volo per l’Italia determinata dalla pandemia di coronavirus, è rimasto bloccato in Gran Bretagna. Il prof. Massimo Marrelli, Professore Emerito di Scienza delle Finanze ed ex Rettore della Federico II, racconta la sua esperienza ad Ateneapoli il 24 aprile. “La prossima settimana – dice – forse dovrebbero ripristinare qualche volo e magari potrò rientrare, ma non ne sono sicuro”.
Come sta vivendo il prolungamento forzato del soggiorno?
“Non male. Sono a casa di mia suocera, la mamma di mia moglie inglese. C’è anche un po’ di giardino e do una mano in famiglia. Lavoro, faccio ricerca, perché per fortuna qui c’è una banda larga che funziona benissimo, e naturalmente cerco di informarmi anche su quello che sta accadendo in Italia. Mi ha colpito molto un servizio che è stato trasmesso in tv sull’ospedale Cotugno, che è stato definito il migliore in Europa nell’affrontare il coronavirus. Mi ha fatto molto piacere”.
È la prima volta che resta a Brighton così a lungo?
“Da due anni e per sette mesi trascorro in questa città una settimana ogni trenta giorni per tenere lezione. È la prima volta che resto così a lungo”.
Anche gli allievi del Phd, come i loro colleghi in Italia, ora seguono i corsi on-line?
“Adesso sono nel periodo nel quale non fanno lezione per tre settimane e si preparano per gli esami”.
Ha avuto modo di seguire l’esperimento alla Federico II? Come le pare che sia andata la didattica da remoto finora?
“Mi sono collegato per vedere e, se si pensa che da un giorno all’altro l’Ateneo si è trovato ad affrontare l’emergenza, mi pare che non sia andata affatto male. Spero che questa esperienza resti come consapevolezza che alcune cose si possono fare anche a distanza. Sarebbe il modo di trovare qualcosa di positivo anche in una contingenza difficile come quella che stanno attraversando gli Atenei”.
Le elezioni per il Rettore sono state rinviate. È stata una scelta giusta secondo lei?
“Non si poteva fare altrimenti, non c’erano alternative. Non era il momento. Poi Arturo De Vivo, il Rettore facente funzioni, si sta comportando molto bene. Ha preso in mano con piglio la situazione. I colleghi del Dipartimento mi raccontano che davvero in due giorni l’Ateneo ha messo in piedi lo smart working. Per un Rettore quanto accaduto è stato l’incubo che si materializza. De Vivo si è trovato a fare il Rettore all’improvviso, dopo la nomina di Gaetano Manfredi a Ministro, ma ha saputo gestire questa situazione determinata dal coronavirus in modo esemplare”.
Quali sono le regole imposte ai cittadini in Inghilterra per prevenire il contagio?
“Bar e ristoranti sono chiusi come in Italia. Lo stesso vale per le scuole e per le Università. Si può uscire solo per fare la spesa e per poche altre necessità o per aiutare qualcuno che non può farlo. Rispetto all’Italia, c’è la possibilità di un’ora di esercizio all’aperto e va praticata da soli o al massimo in due. Una possibilità, credo, dettata dal timore per la tenuta psicologica della popolazione”.
Come è la situazione sotto il profilo dell’epidemia in Gran Bretagna?
“Ormai i morti qui sono arrivati quasi ai nostri, circa 19 mila. C’è chi ritiene che ci si sia mossi in ritardo con le misure di contenimento e di distanziamento. È anche vero che Londra ha nove milioni di abitanti e c’è un livello di vicinanza molto spinto tra le persone che frequentano la capitale”.
Lei è economista. È preoccupato per la situazione che si determinerà nei prossimi mesi?
“Sono molto preoccupato per la ripresa. Il Pil scenderà di parecchio, si parla del quindici o sedici per cento. L’Europa è stata troppo lenta a muoversi ed in Italia ci siamo fatti trascinare dalle assurde polemiche sul Mes, che qui davvero i miei colleghi inglesi non riescono a capire”.
 
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