A tu per tu con una scienziata del cosmo: Mariafelicia De Laurentis

Aprile 2019: per la prima volta un gruppo di scienziati fotografa un buco nero nello spazio. Una immagine che è stata definita “la foto del secolo” e che è il frutto di un progetto internazionale tuttora in corso (Event Horizon Telescope) che ha poi ottenuto il mese scorso altri importanti risultati ed al quale partecipano anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). Nella squadra che ha centrato quel risultato e che continua a scoprire nuovi segreti del cosmo c’è anche una docente della Federico II. Si chiama Mariafelicia De Laurentis ed insegna Astronomia e Astrofisica. Il suo è il curriculum di una signora la quale, inseguendo le stelle ed i suoi sogni, ha girato il mondo. È stata, tra l’altro, professore di Fisica teorica alla Tomsk State Pedagogical University (Russia), visiting professor presso l’Institut für Theoretische Physik della Goethe-University di Francoforte (Germania), dove dal 2015 ha iniziato a far parte del progetto Black Hole Cam (BHCam) ed Event Horizon Telescope (EHT). Ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti, tra i quali il Breakthrough Prize in Fundamental Physics, il premio SIGRAV (Società Italiana di Relatività Generale e Fisica della Gravitazione), la Medaglia Einstein, il Premio Qualità dal Politecnico di Torino, il premio per la ricerca all’Università di Tomsk.
Quali sono stati i suoi studi, la sua formazione scolastica ed universitaria? “Ho frequentato il liceo scientifico, mi sono laureata in Fisica alla Federico II e ho conseguito il dottorato di ricerca presso il Politecnico di Torino”.
Quando ha capito che era affascinata dal mondo degli astri ed ha deciso di dedicare la sua vita a studiarli? “Praticamente da sempre. Ho scelto di fare il fisico perché in qualche modo mi dà la possibilità di soddisfare la mia curiosità su tutto quello che mi circonda. Il mio obiettivo è sempre stato quello di poter entrare nella mente di Dio e capire la sua creazione. Sono una persona che si pone continue domande su tutto. Tra parentesi, non so se sia un bene avere il cervello sempre acceso. Non volevo un lavoro comune, ordinario. Volevo lasciare un segno per l’eterno. Volevo che i posteri trovassero il mio nome impresso in una pagina di un libro che ha cambiato la storia, questo è il mio concetto di eternità terrena. Credo che ognuno sia stato creato per un motivo ben preciso, che ognuno debba rispondere alla sua chiamata. C’è una frase di Martin Luther King nel libro ‘La forza di Amare’ che mi accompagna nella vita e sulla quale si fonda la mia filosofia: ‘Se non potete essere il sole, siate una stella. Non con la mole vincete o fallite. Siate il meglio di qualunque cosa siate. Cercate ardentemente di capire a cosa siete chiamati e poi mettetevi a farlo appassionatamente’”.
I modelli di vita
Chi è stato, se c’è stato, il suo Maestro? “Più che modelli di vita professionale, ho avuto modelli di vita che sicuramente mi hanno dato la spinta e la tenacia per realizzare i miei obiettivi (anche lavorativi), per credere in qualcosa di grande e di diverso. Persone che mi hanno fatto essere ciò che sono ora. Persone che mi hanno insegnato che è possibile cambiare il mondo e le cose intorno a noi, basta soltanto crederci. La mia casa è stata sempre piena di libri e fin da bambina i miei genitori hanno spinto me e mia sorella (anche lei fisico) a leggere. La prima figura che mi ha ispirato tantissimo – ahimè, questa sarà una delusione per molti, non è uno scienziato – è stata quella di Martin Luther King, l’uomo che sfidò le discriminazioni razziali. Lessi il suo libro: ‘La Forza di amare’ nell’estate di transizione dalle scuole medie al liceo e, da quel momento, fui totalmente attratta dal suo modo di pensare e agire, tanto da fare delle sue parole un mio motto di vita. Attraverso King ho conosciuto anche la figura del Mahatma Gandhi e la sua dottrina della non violenza, al fine di raggiungere obiettivi sociali o cambiamenti politici. E dopo Gandhi c’è stata Madre Teresa di Calcutta e poi Dalai Lama (Tenzin Gyatso), Karol WojtyÅ‚a, la grande Marie Curie e molti altri. Tutte queste figure carismatiche che hanno avuto in comune il coraggio di portare avanti le proprie idee a costo anche della loro vita, hanno cambiato in meglio la mia vita e il mio modo di pensare”. 
Perché la maggior parte di queste persone non sono scienziati? “Perché prima di essere uno scienziato bisogna essere una persona vera, autentica e unica, altrimenti non si possono raggiungere grandi obiettivi”.
Ha mai avuto la tentazione di abbandonare il percorso intrapreso? “Sì, soltanto una volta, ma non per motivi legati alla scienza. È stato quando mio marito mi ha lasciata. Il mondo mi è crollato sotto i piedi e una parte di me è morta. Ho trasformato quel dolore consacrandomi alla scienza”.
La circostanza di essere donna ha reso più difficile il suo cammino di studiosa e ricercatrice? “Purtroppo ci sono ancora molti pregiudizi riguardo alle donne e questa situazione a volte è anche colpa delle donne stesse. C’ è un retaggio culturale, anche se velato, secondo il quale solo gli uomini possono primeggiare nelle discipline scientifiche. Se una donna li scavalca, “apriti cielo!”. Ho avuto difficoltà e le ho tuttora. Sarei ipocrita se fingessi che nel mio ambiente di lavoro quotidiano tutto sia perfetto”.
Come affronta queste difficoltà? “Poiché sono una persona positiva e ostinata, cerco sempre di trasformare queste difficoltà in una opportunità che consenta ancora di più di fare emergere il meglio di me. Fortunatamente ho anche avuto collaboratori e mentori che hanno fermamente creduto nelle mie potenzialità e capacità di scienziato e mi hanno spronata a perseguire i miei sogni. Non per tutti è così. Io, in ogni caso, quando lavoro non ho pregiudizi, non guardo il sesso, l’età, la provenienza culturale, religiosa, non mi lascio condizionare dall’estetica o dall’abbigliamento. Vengo soltanto attratta dal cervello e prescindo dall’involucro che lo contiene”. 
È possibile conciliare impegni e vita personale con la ricerca di altissimo livello? “Sicuramente è possibile in generale, visto che ci sono persone che almeno apparentemente ci riescono bene. Io non ci riesco. Se si vuole giungere a grandi risultati, fare grandi cose e conquistare grandi traguardi, bisogna che si sia disposti a pagarne il prezzo. A volte è necessaria tanta perseveranza e disciplina dinanzi a sfide veramente impegnative, è necessario sopportare sofferenze, persino ferite emotive, per raggiungere un grande risultato che ti porterà al successo. Ma ne vale la pena, la gioia dopo è molto maggiore delle rinunce”.
I grandi risultati arrivano quando “si impara ad essere umili”
Quali suggerimenti dà agli studenti che vogliano studiare le stelle ed i pianeti, quale percorso universitario è più adatto? “Il punto di partenza è avere una laurea in Fisica. Uno studioso degli astri e dell’Universo è prima di tutto un fisico che guarda il cielo invece che i fenomeni posti sulla Terra. In quanto fisico, la sua cultura di base è fortemente incentrata sulla matematica, fisica e anche chimica. Poi può specializzarsi in astrofisica e astronomia. Qui alla Federico II abbiamo una Laurea Specialistica in Astrofisica e il vantaggio che hanno i nostri studenti è anche quello di avere interazioni con l’Osservatorio Astronomico”.
Quali scoperte, studi o ricerche le hanno procurato una emozione particolare? “Indubbiamente la fotografia del buco nero. Non è facile descrivere cosa ho provato, mi sono commossa. Per la prima volta abbiamo visto un buco nero, ciò che fino a quel giorno avevamo soltanto intuito attraverso equazioni e simulazioni. Credo sia stata una delle emozioni più belle della mia vita e anche per i colleghi. È stato il frutto del nostro lavoro fatto di sinergia, cooperazione, collaborazione e tanto sacrificio. Posso dire che l’emozione che ho provato è paragonabile alla nascita di un figlio, ad un concepimento. Le idee sono parte di noi, crescono dentro di noi e si concretizzano attraverso il lavoro di mesi e anni di ricerca: ecco perché la paragono a una nascita”.
Scrutare lo spazio, conoscerlo, interpretarne i segreti cambia le prospettive di vita quotidiana, aiuta a relativizzare? “Assolutamente sì. Ci si rende conto di non essere che un granellino insignificante di polvere in un immenso universo. Ci sentiamo non solo piccoli e fragili, ma anche terribilmente inadeguati e tanto, tanto ignoranti. Crediamo di aver capito tutto e, invece, non abbiamo capito nulla. Eppure, si tratta di una sensazione salutare, che dovremmo provare tutti: il giusto correttivo alla nostra sciocca presunzione, all’arroganza che ci fa sentire padroni di ogni cosa. Noi che non siamo padroni neppure dei nostri pensieri e dei moti del nostro cuore. E quindi tutta questa consapevolezza ci cambia il modo di vivere, almeno per quanto mi riguarda. Ho imparato che la sensazione di piccolezza la si sconfigge e la si tramuta in grandezza collaborando con gli altri, condividendo, comunicando, relazionandoci agli altri con fiducia. Si raggiungono obiettivi grandi quando si impara ad essere umili e a mettere da parte il nostro ego e i nostri interessi per pensare ed agire per il bene dell’intera squadra. Smettere di pensare all’Io ed iniziare a pensare al Noi. Il mondo della ricerca è inevitabilmente competitivo, ma bisogna trovare un equilibrio tra collaborazione e competizione. Nel mio vissuto credo di essere stata sempre molto aperta alle collaborazioni e per questo ripagata, perché senza questa apertura avrei perso tantissime occasioni in molti progetti importanti. La condivisione, di conoscenza ma anche di materiali e di strumenti, fa parte dell’etica del nostro mestiere”.
 
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