Terra dei Fuochi, non tutta la Campania “è avvelenata”

“La Terra dei Fuochi, intesa come un territorio molto ampio di novanta e più Comuni totalmente contaminato, non esiste. Ci sono, soprattutto nella fascia a nord di Napoli, situazioni localizzate di presenza di sostanze inquinanti nei suoli. È utile che ci si concentri su queste emergenze per la caratterizzazione e, laddove possibile, la bonifica. Non giova generalizzare sia perché non corrisponde ai dati scientifici che abbiamo, sia perché, se passa l’idea che tutta la Campania è avvelenata, si finisce con il credere che non ci sia nulla da fare per porre rimedio”. Il prof. Stefano Albanese, docente di Geochimica e vulcanologia, traccia un bilancio del progetto di monitoraggio geochimico ed ambientale dei suoli della Campania che è stato realizzato dal gruppo di ricerca in Geochimica Ambientale del Dipartimento di Scienze della Terra, Ambiente e Risorse. “Uno studio – sottolinea – finanziato dalla Regione ed affidato all’Istituto Zooprofilattico, che ci ha chiamati in causa per collaborare. Si chiama Campania Trasparente. Il monitoraggio dei suoli è iniziato cinque o sei anni fa sotto la regia del prof. Benedetto De Vivo, ora in pensione. È stato condotto da una ventina di persone, tra le quali alcuni giovani ricercatori italiani e stranieri”. كازينو العرب 888 La ricerca, contenuta in un volume che è stato pubblicato recentemente dall’editore Aracne, rappresenta “un passo importante verso una conoscenza puntuale ed attuale delle condizioni ambientali della nostra regione”.
Le criticità
Ottomila i campioni di suolo prelevati nel territorio campano. Sono emerse alcune criticità. A Napoli città, per esempio, racconta il prof. Albanese, “ovunque abbiamo prelevato terreno, si è registrato lo sforamento sistematico dei valori massimi di piombo stabiliti dalla legge. È sicuramente un fenomeno correlato al traffico veicolare ed in parte ereditato dal passato, quando la benzina conteneva quantitativi elevati di questa sostanza. Dei danni causati dall’inquinamento determinato dal traffico veicolare si parla poco o, forse, non quanto sarebbe necessario. Eppure, l’impatto sulla salute umana certamente non è trascurabile. شرح بلاك جاك Ricordo, per esempio, che anni fa uno studio mise in correlazione l’inquinamento diffuso da piombo a Napoli con il calo della fertilità maschile che si registrava in maniera piuttosto evidente”. L’indagine ha messo in luce anche livelli notevoli di piombo, di zinco e di cadmio in alcuni terreni della fascia territoriale a nord di Napoli. كيف يلعب البوكر Ci sono situazioni molto serie nel bacino del Sarno, “legate alle concerie e, verso la foce, alle attività conserviere e ad un’agricoltura spesso intensiva e poco rispettosa del territorio. Fino a non molti anni fa le coltivazioni intensive ricorrevano alla chimica in maniera massiccia e non sempre con le dovute precauzioni. Ci sono ancora in alcuni terreni dell’agro sarnese e del casertano concentrazioni di ddt determinate dalla circostanza che per molti decenni si ricorreva sistematicamente a questo prodotto nella coltivazione ortofrutticola. È una pesante eredità del passato”. In provincia di Caserta, secondo l’indagine condotta dai ricercatori della Federico II, la situazione è meno grave di quanto si sia portati a pensare. Certamente, sottolinea il prof. Albanese, “in corrispondenza di discariche di rifiuti o di siti nei quali avviene la combustione illecita di rifiuti si registrano sforamenti nella concentrazione di alcuni metalli e di sostanze potenzialmente nocive. Sono, però, zone localizzate. In sostanza, non è giustificata la campagna di denigrazione dell’intero comparto agroalimentare campano che è partita alcuni anni fa e che ha avuto effetti drammatici sull’economia agricola e sulle imprese di allevamento zootecnico che operano nel nostro territorio”.
“Non si deve alimentare un clima da caccia alle streghe”
Nel volume è presente una parte dedicata alla biodisponibilità degli elementi: “Abbiamo cercato di stimare quale quantità di metalli possono trasmigrare nei prodotti ortofrutticoli. È un aspetto importante perché ci sono alcune sostanze, tra esse il piombo, che sono poco mobili, non passano con facilità dai terreni alle coltivazioni. Abbiamo appurato che la possibilità di trasferimento dal suolo alle piante è bassa, anche laddove ci siano concentrazioni elevate di metalli potenzialmente tossici. Lo avevamo già verificato, peraltro, in uno studio relativo al bacino del Sarno. Questo non vuol dire, naturalmente, che se si riscontrano sforamenti nella presenza di metalli ed altre sostanze non si debba intervenire con criteri di precauzione e con programmi di bonifica. È vero, però, che non si deve neanche alimentare un clima da caccia alle streghe verso tutto ciò che è prodotto in Campania”. In certi casi, poi, hanno evidenziato i ricercatori, lo sforamento dei valori di determinati metalli non è il risultato dell’inquinamento, ma della natura dei suoli. Quelli vulcanici, infatti, sono ricchi di tallio ed arsenico. Uno dei contributi non trascurabili all’inquinamento dei terreni – emerge dall’indagine – è quello dell’agricoltura che fa largo uso di fitofarmaci e pesticidi. In conclusione, sottolinea Albanese, “lo studio è un contributo alla trasparenza per fotografare la situazione dei suoli campani attraverso dati scientifici, al di là di ogni volontà di minimizzare, nascondere o esagerare. Per noi tutti della Federico II è stata una esperienza molto stimolante, un esempio di come la ricerca possa dare un contributo vero al territorio. Si tratta ora, laddove abbiamo individuato criticità, di intervenire con le tecniche possibili per bonificare”.
 
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