Veterinaria e i Carabinieri forestali mettono in salvo un macaco giapponese

Il suo habitat naturale sono le foreste di latifoglio della regione dell’Hokkaido, in Giappone. Per uno scherzo crudele del destino, però, viveva da anni in una gabbia a Montecorvino Rovella. È partita una segnalazione ed è intervenuto il Nucleo Cites dei Carabinieri Forestali di Salerno, che ha sequestrato l’animale e lo ha trasferito al Centro di recupero della fauna selvatica, gestito dall’Asl e dal Dipartimento di Veterinaria. Protagonista della vicenda un esemplare femmina di Macaco giapponese (Macaca fuscata). Una specie che ha una vita sociale molto sviluppata in natura (costituisce gruppi che arrivano fino a 25 individui) e che, in ragione della dentatura, della forza e della stazza (fino a 16 kg di peso) rientra nella lista degli animali pericolosi. La sua detenzione è vietata. Come e perché l’esemplare sequestrato sia finito in provincia di Salerno è oggetto di indagine. L’uomo che lo teneva in gabbia è stato denunciato per detenzione di animali pericolosi, violazione alla normativa Cites, che regola la detenzione e il commercio di animali esotici in via di estinzione, per maltrattamento di animali e detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura.
Il Dipartimento di Veterinaria ha svolto un ruolo significativo nell’operazione che ha portato al sequestro del macaco giapponese. “Di fatto – spiega il prof. Orlando Paciello, docente di Tecniche delle autopsie e diagnostica cadaverica nel Corso di Laurea in Medicina Veterinaria e di Patologia forense nel Master – queste attività di supporto alla polizia giudiziaria sono parte delle nostre attività istituzionali. Abbiamo implementato le competenze della medicina forense e ci chiamano spesso. Mi hanno contattato – nel caso del macaco – per coordinare le operazioni tecnico-scientifiche, individuare le competenze idonee ad identificare la specie, contenere, recuperare e trasportare l’animale secondo le giuste modalità. Va fatto da personale con competenze specifiche in un’ottica di protezione degli animali e di rispetto delle procedure formali. Quando ci sono questioni legali, la forma è sostanza. Bisogna capire per esempio se l’animale sia stato maltrattato o sottoposto a forme di detenzione non possibili. Nel caso del macaco non c’erano dubbi perché è una specie tutelata dalla convenzione Cites, che ne vieta la detenzione ed il commercio. Fa parte dell’allegato uno”.
Dieci anni in cattività per il primate
Come era finito quell’esemplare a Montecorvino Rovella, era nato in cattività o era stato prelevato in natura? “Il detentore – risponde il docente – ha dichiarato che gli era stato donato da un parente circa dieci anni fa. Difficile da verificare. In Italia colonie di questa specie non ci sono. La nascita in cattività è dunque impossibile nel nostro Paese. Potrebbe essere stato preso dalla Natura. Un decennio fa furono sequestrati altri esemplari simili detenuti da privati. Stiamo verificando anche altre cose. L’esemplare aveva un microchip di vecchia generazione. Stiamo cercando di leggere per capire se ci rivelerà notizie sulla provenienza”. Dopo anni di sofferenza, il futuro per l’esemplare sequestrato potrebbe essere un po’ meno triste. “È ancora al Centro di recupero della fauna selvatica, ma poi sarà collocato in una struttura per il recupero di animali in Toscana e lì possiamo pensare di ricostituire una piccola famiglia, mettendolo insieme ad altri esemplari della stessa specie sequestrati più o meno recentemente. Non sarà facile per il nostro macaco riabituarsi ai suoi simili, socializzare. Sarà un processo graduale, ma vogliamo provarci”.
Dopo quella relativa al macaco, il prof. Paciello è stato coinvolto in un altro intervento, sempre con il Nucleo Cites dei Carabinieri forestali di Salerno. “Avevano avviato – racconta – una operazione per identificare un esemplare di squalo volpe catturato alla foce del Sele ed inserito nell’allegato due della convenzione Cites. La cattura dall’ambiente naturale e la detenzione sono vietati. Durante il sopralluogo hanno scoperto, anche grazie al sostegno della Stazione zoologica Dohrn, che l’animale era una verdesca e non uno squalo volpe. La verdesca può essere catturata in natura e la carne può essere consumata. Quando sono andati sul posto, l’animale era stato portato in una pescheria della provincia di Salerno per essere venduto”. Si è aperto un altro scenario. “La pesca per la vendita – riferisce il docente – va fatta da imbarcazioni autorizzate. Al di fuori di questi termini si configura il reato di uccisione illegale di animali: 727 bis o 544 bis. Quando un negozio propone in vendita un alimento, inoltre, deve garantirne la tracciabilità. La faccenda si è complicata ancora più perché la pescheria proponeva in vendita la verdesca come palombo, un’altra tipologia di alimento. In questo caso scatta la frode in commercio. Abbiamo richiesto, così, il dna del pesce;  dall’analisi morfologica abbiamo individuato che è una verdesca”.
A Napoli esiste ormai da anni, promosso dal Dipartimento, un Master di secondo livello in Scienze forensi veterinarie. “È unico in Europa – rivendica il prof. Paciello – Diamo varie competenze. Si parte dalle conoscenze di base della giurisprudenza, perché gli elementi di diritto e procedura penale sono essenziali. Bisogna conoscere i meccanismi. Poi proponiamo elementi che vanno dalla patologia forense alla tossicologia forense alla balistica forense. Ancora: medicina legale, entomologia forense. Cerchiamo di dare una formazione a 360 gradi sulle scienze della medicina forense”.
Ritornando alla vicenda del macaco giapponese, cosa induce una persona a tenere in cattività animali selvatici, talora anche pericolosi, con i quali il livello di empatia non potrà mai essere analogo a quello che scatta con un cane o un gatto? “Dietro a queste situazioni – spiega il docente – ci sono vari profili. C’è talora la tendenza ad avere un animale difficilmente raggiungibile e poco comune per dimostrare potere e successo. Poi ci sono manie ad accumulare, giustificate da un malinteso amore per gli animali. Il signore che teneva in gabbia il macaco giapponese aveva anche capre, maiali, uccelli selvatici”.
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