Fenomeni sismici nei Campi Flegrei: cosa sta succedendo?

Scosse di terremoto, in genere di intensità relativamente bassa, e boati. Il bradisismo nei Campi Flegrei da alcuni mesi si sta manifestando con fenomeni che suscitano preoccupazione tra i residenti e che interrogano gli esperti. Cosa sta succedendo, dunque, nelle viscere dell’area flegrea? Ateneapoli ha interpellato Giuseppe Luongo, docente Emerito alla Federico II, vulcanologo ed in passato direttore dell’Osservatorio Vesuviano.
Professore, partiamo subito dalla domanda che sta a cuore a chi abita a Pozzuoli e dintorni. Ci sono in questo momento segnali tali da far  temere che si sia innescato un processo che culminerà in una eruzione? “No. Certamente questa è una fase di sollevamento del suolo, peraltro iniziata da una decina di anni. Va avanti ad una velocità abbastanza bassa rispetto alla crisi che si verificò tra il 1982 ed il 1984. C’è un rapporto di uno a dieci tra i due episodi, quello di oggi e quello di 40 anni fa. Almeno per adesso abbiamo un sollevamento, un rilascio di energia ed una intensità dei fenomeni sismici dieci volte minore rispetto a quell’epoca. In questa fase il suolo si è sollevato di settanta centimetri. Quaranta anni fa si arrivò a due metri. Alcuni ricercatori dicono che ci avviciniamo alla fase critica ma non si sa perché, dal momento che non abbiamo una valutazione approssimata dell’energia disponibile. Succedono cose importanti, ma gestibili. Naturalmente non significa che il fenomeno non vada seguito e monitorato sempre con attenzione, ma è banale sottolinearlo”.
Cosa sta accadendo nel sottosuolo in questa fase? “Potrebbe essere in atto un aumento di pressione, un trasferimento di calore dal magma alle rocce soprastanti nelle quali circolano i fluidi e che determina il sollevamento del suolo. Oppure, è un’altra ipotesi, potrebbe esserci una migrazione di magma verso l’alto come quarant’anni fa. All’epoca la sorgente magmatica era a tre chilometri di profondità”. 
Chi e come monitora quello che accade nei Campi Flegrei? “L’Osservatorio Vesuviano, che è una costola dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ha il compito di scrutare i Campi Flegrei ed il Vesuvio. Tre i parametri fondamentali che sono monitorati: uno relativo al sollevamento ed alla dilatazione del suolo. La rete dei gps controlla questo aspetto, misura la deformazione della parte superficiale della crosta. Il secondo parametro che si valuta costantemente è l’attività sismica, perché la spinta dal basso produce una deformazione che genera terremoti. La profondità dei terremoti ci dice quale strato sia interessato dalla spinta. Non meno importante è il monitoraggio dei gas in superficie che traccia un percorso della loro origine. Nelle aree più attive, per esempio alla Solfatara ed in via Pisciarelli, la misurazione dei gas è costante”.
Immaginiamo che un giorno ci siano segnali premonitori tali da far ritenere che nei Campi Flegrei si è innescato il processo che culminerà in una eruzione? Quando scatterebbe l’ordine di evacuazione? “Non bisogna allontanare la popolazione senza condizioni di pericolosità serie. Bisogna decidere una misura così drastica con elementi probanti. Si è scelto anni fa un percorso con la Protezione Civile relativo al Vesuvio, ma valido anche per i Campi Flegrei, il quale prevede che l’allerta e l’evacuazione della popolazione scattino settantadue ore prima dell’evento. Tre giorni perché è il tempo stimato dalla Protezione Civile per condurre a termine le operazioni di evacuazione senza panico dei residenti nell’area interessata dalla eruzione”. 
“L’esperienza degli anni Ottanta può aiutarci”
Qual è lo scenario a partire dal quale scatterebbe l’evacuazione? Dopo quante scosse, a che livello di deformazione del suolo, rispetto a quali parametri dei gas? “Non c’è ancora uno scenario quantitativo basato su un certo numero di terremoti di una determinata intensità o sua precisa velocità di sollevamento del suolo. Abbiamo per ora parametri qualitativi. Bisogna definire – è vero – in modo quantitativo lo scenario della eruzione. L’esperienza degli anni Ottanta può aiutarci perché ci dice che fino ad un certo livello – quello che fu raggiunto all’epoca – non è accaduto nulla. Vorrei però dire una cosa relativamente agli scenari di evacuazione”.
Faccia pure, professore. “È una sciocchezza colossale l’idea dei gemellaggi in base ai quali gli sfollati saranno trasferiti in altre regioni. Non può funzionare. Come vive uno che è sfollato da Pozzuoli in Sardegna o in Veneto? Di cosa campa? Come cura i suoi interessi? Assurdo. Il gemellaggio si può fare, ma nel raggio di 40 o 50 chilometri dalla zona evacuata, non di più”.
Ritiene che la popolazione dei Campi Flegrei sia oggi adeguatamente informata sulla situazione dell’area ed abbia la giusta conoscenza dei comportamenti da adottare e delle misure da prendere in caso di allarme rosso e di evacuazione? “No. Bisogna dare più informazioni sia sulla dinamica in atto nel sottosuolo, che va spiegata senza limitarsi a dire che c’è stata questa o quella scossa. È necessario, poi, che gli abitanti abbiano maggiore conoscenza delle norme e dei piani da adottare in caso di evacuazione. Il concetto di rischio vulcanologico è ampio. Le caratteristiche geologiche di un sito, la sua storia eruttiva, sono certamente un aspetto fondamentale, perché ci aiutano a prevedere, ovviamente sempre con margini di approssimazione, quello che potrebbe accadere. Un’altra componente essenziale è però determinata dai comportamenti dell’uomo, dalle scelte di abitare o no in prossimità di un’area a rischio, dalla qualità e dalla tipologia delle abitazioni costruite in quel territorio, dall’informazione della popolazione e dalla preparazione della medesima ad affrontare anche gli scenari peggiori. Su questi ultimi aspetti, quelli che dipendono da noi e non dal magma, non bisogna mai stancarsi di lavorare”. 
“L’ultima eruzione fu quella che nel 1538 diede origine al Monte Nuovo”
Capita di leggere riflessioni circa la presunta maggiore pericolosità dei Campi Flegrei rispetto al Vesuvio. Sono giuste? “Non è detto che ci sia una maggiore probabilità che eruttino i Campi Flegrei rispetto al Vesuvio. La densità della popolazione, che ovviamente è un fattore determinante per  definire la pericolosità di un’area vulcanica, è molto elevata in entrambi i siti. Insomma, io non mi avventurerei in paragoni o confronti”.
La storia eruttiva del Vesuvio, almeno nei suoi momenti fondamentali, è abbastanza nota. L’ultimo episodio, durante la seconda guerra mondiale, è testimoniato anche dai filmati in bianco e nero dell’epoca girati da alcuni militari americani. Quella dei Campi Flegrei è forse meno conosciuta dai non esperti. Può descriverla brevemente? “L’ultima eruzione fu quella che nel 1538 diede origine al Monte Nuovo. Non fu nulla, però, rispetto a quella che si verificò in questa area 39.000 anni fa. Fu catastrofica, direi apocalittica. Devastò la Campania ed il sud Italia. Un’altra grande eruzione risale a circa 15.000 anni fa ed è quella che ha prodotto il tufo giallo napoletano. Ce ne sono state naturalmente anche altre, ma faccio riferimento a queste tre per dare un’idea per sommi capi della storia vulcanica di quest’area”.
Il Vesuvio è un vulcano ed è chiaro a tutti il concetto. Cosa sono, invece, i Campi Flegrei? “Un campo vulcanico che si estende per circa cento chilometri quadrati. Non c’è, come per il Vesuvio, un centro eruttivo principale. Ci sono diversi centri attivi, spesso interessati da grandi eruzioni con collassi. Fenomeni che nel bene e nel male hanno disegnato e delineato il paesaggio, che è di straordinaria bellezza”.
 
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