Il Paleolitico Irpino, il Dipartimento di Biologia a Frigento

Una piccola schiera di docenti ed esperti riuniti nel Salone della Società dei Naturalisti in occasione della presentazione de ‘Il Paleolitico Irpino’, pubblicazione sulle ricerche e scavi del Dipartimento di Biologia a Frigento, piccolo paese in provincia di Avellino. L’incontro, tenutosi lo scorso 3 dicembre, pone i riflettori su un lavoro che si inserisce all’interno di un programma di riscoperta della realtà territoriale irpina e che vede la collaborazione di specialisti e studiosi locali. 
Frigento: centralità e visibilità. “Per parlare del Paleolitico Irpino bisogna relazionarlo al Paleolitico campano”, questo il preambolo del prof. Salvatore Forgione ad un breve cenno sulle ricerche effettuate durante tutto il ‘900. Poi, guarda al presente: “La mia attenzione è caduta sul Comune di Frigento perché è lì che ho vissuto e che ho insegnato. I punti forti di questo paese sono la posizione centrale e la visibilità. Passeggiando sulla sua collina si avvistano territori che appartengono a cinque regioni diverse ed è possibile scorgere ad occhio nudo un centinaio di paesi. Comprensibile, quindi, anche la sua importanza nell’era paleolitica quando un uomo, prevalentemente cacciatore e nomade, aveva bisogno di controllare le zone circostanti. Frigento è una collina isolata che si raggiunge facilmente e sulla quale sono state rinvenute testimonianze di tutti i periodi storici”. 
Due i siti principali per gli scavi, due i volumi. “Ci siamo ritrovati a Pietraliscia nel 2006 e a Castelluccio nel 2008, entrambe frazioni di Frigento. I risultati degli scavi effettuati in queste zone sono racchiusi in una pubblicazione che consta di due volumi. Essa verte sugli scavi e le ricerche che fanno capo al progetto redatto a suo tempo dal prof. Francesco Fedele, docente di Antropologia. Il primo volume ha un taglio piuttosto tecnico e comprende i lavori dello stesso prof. Fedele e dei suoi più stretti collaboratori: Roberto Isaia, vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano, Biagio Giaccio, geoarcheologo del CNR di Roma e il sottoscritto. Nel volume sono presenti i miei studi sui manufatti di pietra, di natura più tecnica e destinati a specialisti. Bisogna saper leggere ciò che ci è stato lasciato dai nostri antenati. La seconda parte di questo volume contiene anche ricerche di superficie. Il valore intrinseco del materiale raccolto in superficie è minimo, ma spero che in futuro ci sia un approfondimento in tal senso. Il secondo volume ha un taglio didattico ed educativo da una parte perché si è cercato di semplificare al massimo quegli argomenti ostici del primo volume, dall’altra perché ha visto la collaborazione di più competenze e, quindi, linguaggi diversi. Credo sia un volume che potrebbe suscitare interesse nelle scuole”. 
Dal bosco al centro storico. “I luoghi prossimi al paese di Frigento – continua il prof. Forgione – spesso risultano sconvolti dagli interventi umani. Per trovare siti adatti allo scavo è stato necessario spostarsi nel bosco sottostante. Non è facile trovare un giacimento in un bosco. È una dimensione impenetrabile, dove solo il naturalista sa muoversi. Un aiuto, il più delle volte, arriva dagli animali, come volpi e cinghiali, che scavando nel terreno per la ricerca di cibo o la costruzione di tane, riportano alla luce ciò che è nascosto. Benefici anche con il vento che durante le tempeste sradica gli alberi e l’acqua che strabordando sposta terreno. A Frigento ci sono giacimenti del paleolitico anche in pieno centro urbano, sotto le strade e nei giardini. Non vivo più lì, ma ci sono ritornato in occasione della ricostruzione di una casa. Ho ritrovato manufatti addirittura nel giardino di casa mia. In alcuni casi, purtroppo, si tratta di aree che non si prestano per lo scavo. Sono stati rinvenuti non solo manufatti paleolitici di pietra, ma anche fossili animali e umani”. 
L’importanza dei tefra. “Le polveri vulcaniche – spiega il prof. Roberto Isaia – hanno protetto gli orizzonti antropici con manufatti paleolitici. Tefra è un nome generico per parlare dei prodotti della frammentazione esplosiva. Molto spesso i suoli sono favoriti proprio dalla deposizione dei tefra. All’interno dei suoli, infatti, si sviluppa tutta una serie di particelle che possono essere studiate per dar l’indicazione netta su quella che è la provenienza dei reperti. È fondamentale che venga fatto uno studio molto accurato anche dei tefra, e quindi dei depositi. Se non si usano tutte le metodologie necessarie si rischia di generare errori”. 
Un prodotto del Dipartimento di Biologia. Il prof. Orfeo Lucio Antonio Picariello si occupa dei ringraziamenti: “Qui sono presenti tutti i naturalisti, le persone più recettive per questi studi. I due volumi, stampati dal Dipartimento di Biologia, sono principalmente il frutto del lavoro del prof.  Forgione e del prof. Fedele. Io ho semplicemente curato la parte logistica”.
Fabiana Carcatella
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