Antropologia della scrittura, un Laboratorio stimolante

Come scrivevano gli antichi? Quali erano le loro chiavi di lettura? Il loro modo di comunicare era simile al nostro? A queste e altre domande la prof.ssa Matilde Civitillo, docente di Letteratura greca, Civiltà egee e Filologia micenea al Dipartimento di Lettere e Beni Culturali, ha tentato di dare una risposta con il Laboratorio di Antropologia della scrittura. “Purtroppo – dice la docente – non riusciremo ad avviare il laboratorio il 20 marzo, come da programma, a causa dell’emergenza sanitaria; le attività saranno dunque riprogrammate e gli studenti saranno aggiornati tramite il portale di Dipartimento”. Ma niente paura, rassicura, che sia adesso o a ridosso dell’estate, il Laboratorio si farà. “Il workshop – prosegue la prof.ssa Civitillo – che è aperto a un numero di venti studenti e prevede il rilascio di due crediti formativi, nasce dall’adozione, da parte del nostro Dipartimento, dello studio delle lingue indecifrate dell’antichità, o comunque quelle non alfabetiche, nel quadro dell’insegnamento di Filologia micenea, il cui oggetto saranno i testi in geroglifico cretese lineare ‘a’ e lineare ‘b’ (il secondo è l’evoluzione del primo n.d.r.)”. Da qui l’idea di organizzare il Laboratorio con il fine di “fornire un approccio propedeutico agli studenti, riguardo alla distinzione, ad esempio, tra un sistema grafico e un sistema di scrittura fonetica. Che cos’è un sistema grafico? E uno scrittorio? Il punto è che la scrittura è un codice in cui ogni segno corrisponde a un piano dell’espressione e caratterizzato da un contenuto. In un sistema scrittorio il contenuto è una resa fonetica. In termini più semplici, la resa fonetica di ‘a’ è ‘a’, e quella di ‘effe’ è ‘f’. Questa codifica normativa consente di scrivere messaggi univoci, senza bisogno di interpretazione da parte del lettore. In un sistema grafico, invece, la resa fonetica è assente e il grafema corrisponde a un significato altro. Quella appena descritta è una delle differenze tra un sistema grafico, come ad esempio quello di notazione musicale, in cui ogni nota corrisponde a un tasto sulla tastiera, e uno scrittorio, come quello nostro, alfabetico, in cui ogni segno corrisponde a un suono”, spiega la docente. Ma non si tratta soltanto di un tuffo nelle parlate del passato: “Cercheremo di muoverci nella foresta dei simboli con i quali abbiamo a che fare ogni giorno, ad esempio con gli emoji; sebbene possa sembrare banale, questi ultimi e le emoticon costituiscono un codice comunicativo vero e proprio, tanto che un’insegnante, Francesca Chiusaroli, è riuscita a riscrivere l’intera fiaba di Pinocchio con l’ausilio di questi simboli. Non è immediata la decriptazione di una lettura di questo tipo, poiché è necessario risalire a una chiave di lettura”. C’è poi il cosiddetto tarlo del dubbio, che la docente vuole instillare negli studenti: “vorrei che si domandassero se l’alfabeto è l’unico sistema comunicativo possibile, perfetto e necessario. La risposta è no. Un esempio nella contemporaneità lo rappresentano il Giappone e la Cina. I Kana giapponesi, ad esempio, sono dei sillabari. La prima scrittura inventata nel 3100, ad Uruk, in Mesopotamia, non è alfabetica ma, allo stesso modo, sillabica; ciò significa che ogni segno non corrisponde a un fonema, ma a una sillaba. I segni sono dunque di più, da un punto di vista numerico, ma le potenzialità espressive sono identiche a quelle di un sistema alfabetico”. Interessante e divertente è vedere come le scritture sono nate: “nella maggior parte dei casi i segni sono iconici, cioè somigliano nel tracciato all’oggetto che rappresentano, come nel caso della lettera ‘A’, che deriva dalla ‘alfa’ dell’alfabeto greco, la quale a sua volta deriva dalla ‘alef’ fenicia, che in origine rappresentava la testa di un toro. Questa lettera si è poi girata nel corso dei secoli fino a capovolgersi: così avevamo ‘ά’ per i greci (le cui punte ricordano le corna) e ‘A’ per i latini che, se capovolta, mostra le sembianze, anche piuttosto naturalistiche, di una testa di toro. Questa peculiarità ha consentito la creazione dei rebus, cioè l’accostamento visivo di due o più oggetti che insieme assumono un significato differente da quello degli oggetti stessi: se volessimo traslare questa pratica nella contemporaneità degli emoji, per dire ‘remare’, potremmo accostare l’immagine di una corona e di un’onda”. Gli studenti saranno messi di fronte a numerosi testi “sia dell’antichità che moderni, proprio per mostrare come le lingue nascono e si evolvono, quali sono le dinamiche che portano alla costituzione di un sistema di scrittura”, dopodiché “ci soffermeremo sulle prime scritture d’Europa, ovvero due codici cretesi nati quattro millenni fa”. Al termine di questa massiccia formazione teorica, gli studenti si dedicheranno poi all’attività pratica “incidendo con degli stili alcuni pittogrammi su tavolette di argilla; ad essi sarà poi richiesto, al fine di conseguire i due crediti formativi previsti, non la solita relazione, bensì un’incisione su argilla di un messaggio in un codice linguistico inventato da loro, di cui forniranno la chiave di lettura. Si tratterà l’invenzione di un codice linguistico, come quelli di Tolkien per la Terra di Mezzo, leggendo, oltre a questi ultimi, il ‘Codex seraphinianus’, inventato da Luigi Serafini. Si tratta di codici perfettamente funzionanti e potenzialmente fruibili”, chiosa la docente. Un’iniziativa creativa e stimolante che rompe un po’ gli schemi degli accademismi stricto sensu per aprirsi a forme di didattica interattiva. 
 
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