Giornalista, scrittore, amante del ciclismo, il prof. Gian Paolo Porreca racconta le sue passioni

È il 1969, e a Napoli c’è uno studente al primo anno di  Medicina che scrive una storia di ciclismo e di provincia: “A Gerben, con simpatia”, dove Gerben è l’olandese Karstens, atleta che in quegli anni, da vincitore, naufragava nei controlli antidoping del Giro di Lombardia. Oggi, di quell’impresa letteraria, che a molti futuri medici odierni sembrerà ardua e a tratti impossibile, rimane tutto quello che il prof. Gian Paolo Porreca (questo il nome di quel ragazzo allora diciannovenne) ha poi scritto e scriverà. Nato a Napoli, ma con una madre originaria di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, Porreca è diventato medico, come lui stesso dice con orgoglio, “perché era un arricchimento sentimentale”. Oggi insegna Chirurgia Cardiovascolare alla Seconda Università, scrive abitualmente per Il Mattino di Caserta e, di tanto in tanto, pubblica un libro. “I medici sono gli scrittori migliori. Il primo è Checov”. E in questa immaginaria classifica il prof. Porreca non è di certo l’ultimo: “Prima di avere il camice bianco già scrivevo. Ho cominciato a 13, 14 anni. A quei tempi non c’era internet, noi navigavamo con la fantasia, e il mio mondo era quello della provincia, del ciclismo. Essere medico e scrittore è una sommatoria. Perché noi possiamo essere cinici quanto vogliamo davanti ad un paziente, ma il suo sguardo è sempre un’apertura di cuore”. Una infanzia e un’adolescenza in campagna, dove la scrittura è un mezzo per accorciare le distanze tra il sogno ed il reale; come la bicicletta: “Sognavo dei mondi che negli anni ‘50 potevo conquistare solo con la bicicletta, e mi affacciavo, grazie alla Gazzetta dello Sport, su una disciplina che mi permetteva di valicare il piccolo mondo del paese. Non ero di una famiglia umile, ma sicuramente in casa si pensava in maniera prioritaria al lavoro e allo studio, ad una vocazione molto postbellica. Non una famiglia modesta, ma di certo morigerata. E la bicicletta era un modo per fantasticare; i miei personaggi più cari erano dei ciclisti, in seno alle cui bici mi sentivo in grado di toccare i valori della vita, del legame ad un territorio, ad un compagno di squadra, ad una donna”.
Storie di corse contro il tempo e contro tante altre cose, come nel caso del suo ultimo libro “La storia del trapianto di cuore a Napoli”, edito da Pironti. Il racconto della vicenda vissuta alla fine degli anni Ottanta dal prof. Maurizio Cotrufo, coautore del volume e suo Maestro, il primo a tentare quel genere di operazione nel Sud Italia. E qui il dato geografico ha un valore straordinario: “Come dice spesso il prof. Cotrufo, da cui è partita l’idea di questo libro, a Pavia, a Verona, forse questa sarebbe una storia quasi naturale. A Napoli è stata meravigliosa perché a Napoli diventa tutto un po’ più incredibile, o come in questo caso quasi sovrannaturale. Questo libro è stato l’esaltazione del ventennio di attività, dal Policlinico vecchio al Monaldi, di un gruppo di giovani medici guidati dal prof. Cotrufo. L’esaltazione di una corsa che ci ha permesso di arrivare…
 
Articolo pubblicato sul nuovo numero di Ateneapoli in edicola (n. 10/2015)
o in versione digitale all'indirizzo: https://www.ateneapoli.it/archivio-giornale/ateneapoli
 
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