La storia di Chiara Russo, giovane ricercatrice al Distabif

Una carriera ricca di soddisfazioni quella di Chiara Russo, assegnista di un progetto di ricerca triennale sulla tematica delle microplastiche al  Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Biologiche e Farmaceutiche (Distabif). Già assegnista con mandato annuale in passato, Chiara segue oggi la sua vocazione laboratoriale: “prima di iniziare questo percorso ritenevo improbabile una carriera universitaria – racconta – questo perché non credevo che ne sarei stata all’altezza. Inoltre, quando ero ancora una studentessa, non avevo la più pallida idea di quali fossero i passi da compiere per intraprendere una carriera di questo tipo. Tutto è sopraggiunto pian piano, nel passaggio da studentessa in Biologia Triennale alla Magistrale. Soltanto durante gli anni della Specialistica, infatti, mi sono resa conto di cosa volesse dire lavorare in laboratorio. Ho continuato con un periodo di tirocinio presso il Laboratorio di Igiene e Tossicologia Ambientale della prof.ssa Marina Isidori, dove ho portato a compimento la tesi di laurea. Dopo la Specialistica sono poi tornata al Laboratorio come collaboratrice volontaria, rimanendovi per il dottorato che si è concluso nel 2014 e che ha avuto come oggetto di studio la tossicità in ambiente di farmaci chemioterapici”. Ed è sempre qui “che ho avuto il mio primo assegno di ricerca annuale sui cannabinoidi e il secondo, triennale, sulle microplastiche. Lungo il mio percorso non mi sono occupata soltanto di ambiente, questo perché, per sua natura, il nostro Laboratorio si presta allo studio di varie tematiche come le proprietà benefiche degli alimenti o di sostanze naturali. Siamo molto versatili”. In laboratorio è necessario “essere uniti. Per quanto le ricerche che si svolgono possano essere diversificate, la vera forza del laboratorio è la sinergia che si viene a creare tra le persone. I rapporti personali sono infatti alla base: non è un singolo individuo a svolgere il lavoro di ricerca, ma l’intera squadra. I tesisti lavorano insieme ai dottorandi, i dottorandi insieme agli assegnisti e tutti insieme formiamo un unico team di lavoro. Quello che cambia è la responsabilità: oggi io ne ho senz’altro di più rispetto a quando ero studentessa. Inoltre, ho messo a punto metodologie diverse e mi dedico ad attività più variegate, come la scrittura di articoli in inglese tecnico-scientifico. A questo livello l’approccio alla ricerca è completamente diverso e diventa parte di sé stessi e non solo, cambiano anche le mansioni”, spiega Chiara. 
Esperienze all’estero
La giornata tipo in laboratorio “inizia intorno alle otto e mezza con un caffè (perché senza non si va avanti!), dopodiché verifico il lavoro da svolgere insieme ai dottorandi, li aiuto nel portarlo a compimento e mi occupo della ricerca di dati, fonti bibliografiche e della scrittura di articoli. Il mio lavoro è volto a fornire un sostegno e un indirizzo al Laboratorio, in modo da avviare le attività e quindi occuparmi delle questioni relative alla ricerca ed eventualmente aiutare i docenti nelle varie attività, come ad esempio le sedute di laurea”, dice. E a questo proposito ricorda il suo primo esame dall’altro lato della cattedra: “quella mattina avevo parlato con un collega di corso il quale, dovendo sostenere un esame, mi aveva chiesto delucidazioni riguardo ad alcuni argomenti che non aveva perfettamente chiari e io lo avevo aiutato. Una volta in laboratorio, la docente mi chiese di aiutarla a fare gli esami. Non avevo avuto alcun preavviso e non mi sarei mai aspettata che accadesse. Fu una situazione straniante, specialmente quando mi trovai di fronte al collega di corso che poco prima avevo aiutato. Durante il ritorno a casa, in treno, non feci che ridere ripensando all’accaduto”. 
Ma Chiara ha avuto anche diverse e importantissime esperienze all’estero, come quella “in Slovenia. Durante il dottorato partecipai a un corso al fine di apprendere una metodologia per la valutazione dei micronuclei nelle cellule tumorali. Il team di laboratorio faceva parte di un progetto europeo, Cytothreat, e noi eravamo i partner italiani, incaricati della valutazione dell’impatto acquatico dei chemioterapici”. Dopo il dottorato “mi recai invece a Boston. Il lavoro svolto durante il dottorato aveva lasciato alcuni punti interrogativi, e io dovevo imparare a costruire delle sequenze geniche per analizzare l’impatto dei chemioterapici sugli organismi acquatici. A questo proposito cercammo, nel mondo, qualcuno che potesse aiutarmi a farlo. Trovammo una professoressa americana, Helen Poynton, a Boston, nel Massachusetts, e quindi mi recai lì. Fu il mio primo viaggio in aereo da sola e partii con l’ultimo volo prima che fossero cancellati  a causa della più grande tempesta che avesse colpito il New England negli ultimi anni. Partii nel febbraio 2015 e tornai a maggio dello stesso anno”. Nel settembre 2017 una esperienza in Austria “per uno studio sui cannabinoidi, in particolare sul cannabidiolo e cannabidivarina per analizzare gli effetti sulla salute umana, e tornai a dicembre dello stesso anno. Per una tappa di questo studio mi recai inoltre nuovamente in Slovenia”. 
Microplastiche e salvaguardia dell’ambiente
Oggi Chiara si occupa di microplastiche, ma cosa sono? E che impatto hanno sull’ambiente? “Le microplastiche sono il maggior detrito antropogenico, vale a dire che l’accumulo di residui plastici nell’ambiente è dovuto principalmente alle attività umane. Rilasciamo microplastiche nell’ambiente senza accorgercene, durante moltissime attività quotidiane, ad esempio facendo la doccia, con l’uso di shampoo o altri prodotti. Ma anche, e certo più impattante, attraverso i lavaggi in lavatrice: i prodotti in fibra sintetica rilasciano residui nell’elettrodomestico, nell’ordine di micrometri, che poi vengono dispersi nell’ambiente. Una volta immessi nell’ambiente, questi residui non possono essere eliminati dagli impianti di depurazione che sono deputati all’eliminazione di agenti patogeni, ma quando si tratta di xenobiotici, cioè di prodotti di sintesi, la faccenda si complica e le microplastiche si riversano nella matrice acquatica, da cui risalgono attraverso gli organismi nella catena alimentare fino ad arrivare agli esseri umani. Lo scopo del mio laboratorio è quello di analizzare l’impatto delle microplastiche sugli ambienti acquatici, e soprattutto di acqua dolce. Le alghe, modificate dalle microplastiche, sono mangiate dalle dafnie (crostacei, consumatori primari), che, a loro volta, sono nutrimento per i pesci (consumatori secondari) consumati dagli esseri umani. Il problema è che questi detriti non sortiscono effetti immediatamente visibili, ma sul lungo periodo, e possono incidere ad esempio sulla trasformazione cellulare”, illustra Chiara. Il fatto, continua, è che “viviamo in un mondo accelerato e i ritmi frenetici hanno purtroppo reso ancora più grave il problema dei materiali plastici, basti pensare alla quantità prodotta e usata di piatti, bicchieri e posate monouso, oppure degli imballaggi per alimentari. Oggi, fortunatamente, si sta avendo un’inversione di tendenza, con il tentativo di realizzare materiali innovativi da prodotti naturali, come la buccia del pomodoro. È necessario evitare atteggiamenti nocivi, cercando di limitare l’uso di questi materiali laddove possibile e, naturalmente, evitandone il rilascio nell’ambiente. Riprendendo le vecchie abitudini, come lavare i piatti anziché usare quelli usa e getta, ma anche preferendo capi di vestiario in fibre naturali piuttosto che sintetiche, si può fornire un importante contributo alla salvaguardia dell’ambiente”. 
Un mestiere, quello della ricerca, nel quale Chiara vorrebbe continuare a esercitare in futuro: “per adesso sono assegnista con un mandato triennale, in futuro vedremo. Credo che questa sia la mia strada, quindi sarei molto contenta di poter continuare, ma non ho fretta. Un vecchio detto suggerisce di non percorrere la scala tutta di corsa, ma gradino per gradino, in modo che risulti meno faticosa, se poi la strada dovesse portarmi oltre i confini nazionali, va bene. Chi fa ricerca lo mette in conto dall’inizio”. Chiude con un consiglio agli studenti, a tutti coloro che, come lei, hanno il coraggio di mettersi in gioco per realizzare i propri obiettivi: “è importante non arrendersi quando incorrono le prime delusioni, ma andare avanti con tenacia. Ci saranno sempre momenti di grande sconforto, specialmente quando le cose non vanno così come si erano preventivate, tuttavia se si è costanti non c’è nulla che possa arrestare la realizzazione dei nostri desideri”. 
 
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