Cina, il fascino e la magia di una lingua orientale nell’intervista al nuovo docente Marco Fumian

“L’Orientale è un punto di riferimento per lo studio delle lingue in Italia, dunque sapevo che a Napoli avrei trovato molti studenti di cinese”, parla Marco Fumian, sinologo dalle origini venete, tra le nuove ‘reclute’ docenti dell’Ateneo. Ha preso servizio intorno alla metà di ottobre cominciando con Lingua e Letteratura Cinese III e adesso tiene un corso di Letteratura Cinese destinato agli studenti della Magistrale. Segue una stimolante chiacchierata vis-à-vis in cui emerge l’interessante punto di vista del giovane studioso e il suo rapporto con il pianeta Cina, ma soprattutto affiorano notevoli spunti per tutti coloro che studiano e continuano a lasciarsi incantare dal fascino esotico della cultura d’Oriente. Come è nata la sua passione per la Lingua e Letteratura Cinese? “Innanzitutto, avevo una predisposizione per le materie umanistiche e lo studio della cultura in generale. In secondo luogo, non avevo per nulla le idee chiare sul mio futuro. In più, c’è da dire che ho cominciato a studiare verso la metà degli anni Novanta, proprio quando i mercati della Cina hanno cominciato ad accrescersi esponenzialmente. Oggi la nostra economia, come sappiamo, stenta, mentre quella cinese appare sempre più solida e attraente, tanto più che i cinesi hanno cominciato a esportare le loro aziende all’estero”. Qual è stato il suo percorso, di studio e didattico, prima di approdare a Napoli? “Mi sono laureato all’Università Ca’ Foscari di Venezia. In Cina ero già stato un paio di volte durante quegli anni, poi sono partito nuovamente subito dopo la laurea per andare a insegnare inglese in una città della costa per un anno. Dopodiché mi sono trasferito a Pechino, lavorando per due anni e mezzo all’Ambasciata, presso l’Ufficio Visti. Poi per il dottorato sono rimasto lì un anno. Dopo aver lasciato la Cina, ci sono tornato costantemente. E circa 7 anni fa ho cominciato a insegnare. Prima ero ricercatore presso l’Università di Chieti-Pescara, dove l’insegnamento del cinese è stato avviato una decina di anni fa, quando molte Università hanno cominciato ad attivarlo, anche in base all’idea che sia più facile trovare lavoro per chi conosce questa lingua”.
Passione e pazienza
Come giudica il livello di preparazione degli studenti al terzo anno?“Sono abbastanza indipendenti e conoscono i meccanismi universitari. A lezione si è creata un’interazione molto positiva. Naturalmente, bisogna attendere gli esami per avere qualcosa di più di una prima impressione. Certo, ci sono anche molti non frequentanti, più difficili da valutare. Imparare il cinese richiede grande passione e pazienza. Bisogna essere disposti a investire energie enormi e non tutti sono disposti a farlo. Tuttavia, nelle classi ho sempre trovato un nucleo di studenti che si fa prendere dalla magia della lingua, una magia che io ormai trovo solo saltuariamente. Frequento il cinese ogni giorno, per me non ha più nulla di esotico, anzi lo vedo in tutta la sua praticità. A volte, però, mi capita ancora di avere un déjà vu e davanti a un carattere mi perdo, come folgorato”. A cosa si deve il boom nelle aule di Cinese? “In parte, gli studenti confluiscono qui perché spinti da un’illustre tradizione. Del resto, quella delle ‘folle’ ai corsi di Lingua Cinese oggi è una realtà comune a diversi Atenei italiani. La motivazione forte è il lavoro. Questo ha per certi aspetti snaturato il rapporto tra lo studente e la materia. Quando ho cominciato, 20 anni fa, chi lo studiava era spesso consapevole di fare una scelta ‘alternativa’, sostenuta da una motivazione culturale forte e non solo dalle prospettive occupazionali. Ora chi lo fa per una scelta meramente pragmatica, questa motivazione rischia un po’ di perderla per strada. Però il cinese ha una forza che supera questo: il fascino unico della lingua, in particolare della scrittura. La storia dei caratteri è grafica, si nasconde nell’immagine stessa. Ci sono significati antichi che sono rimasti impigliati nella lingua scritta e rivelano una visione tradizionale della società. Le parole hanno una storia evidente, è questa la magia”. Quali sono le più efficaci strategie di studio? “Oggi ci sono tantissimi strumenti per integrare le lezioni. Basta andare su Internet e trovare testi interessanti da leggere. Ci sono persino le app, anche se poi queste talvolta rischiano di rivelarsi scorciatoie che in realtà impediscono di penetrare a fondo nella lingua. Bisogna stare ore e ore sui libri a spaccarsi .la testa e perdere la vita sui vocabolari. Sicerca una parola non solo per sapere cosa significa nel caso in cui si è trovata. Una parola si deve prendere, sezionare, spaccare in più parti e poi alla fine ricomporre per capirne i molteplici significati, la polisemia. L’ideale sarebbe dedicare il massimo del tempo per apprendere, così da poter acquisire le cose autonomamente anche al di fuori dell’aula universitaria. Il mio obiettivo è fornire agli studenti gli attrezzi per fare da soli questo lavoro”.
Su cosa si concentra il suo corso di Lingua? “Sulla lettura, analisi e traduzione di testi. Non si basa su testi ‘da manuale’, chiaramente normalizzati o strutturati in modo tale da evidenziare una certa regola. Sono testi autentici che presentano tutte le impurità reali della lingua. Bisogna sviscerarli al massimo per rintracciare tutte le regole induttivamente. Al giorno d’oggi viviamo in un’epoca in cui tutto viene un po’ manualizzato. Anche la laurea a volte viene concepita come un percorso standardizzato fatto di formalità da espletare nel modo più rapido e indolore possibile. Al terzo anno gli studenti hanno già acquisito le basi della lingua, perciò preferisco non usare manuali. Cerco di fare in modo che siano loro stessi a costruirsi di volta in volta gli schemi del proprio apprendimento, un po’ come forse si faceva nell’Università di una volta”. Cosa è cambiato rispetto a 10 anni fa? “È semplicemente cambiata la struttura dell’Università. Un decennio fa la preoccupazione di professionalizzare era indubbiamente meno urgente rispetto ad adesso. Occupandomi di materie linguistico-culturali o storico-letterarie, è sempre difficile fare un discorso sugli sbocchi professionali diretti, perché è difficile rendere queste materie immediatamente monetizzabili. Altre Università hanno perciò rafforzato i contatti in area imprenditoriale creando sinergie con l’ambiente del business oppure orientandosi verso  discipline economiche, giuridiche, politologiche. Resta il fatto che lo studio del cinese deve essere lento e paziente, non  solo della lingua ma anche dei vari meccanismi culturali che consentono di interagire con questo mondo”. Occorre l’inglese Quali argomenti, invece, affronterà durante il corso di Letteratura? “È un corso di educazione alla lettura dei testi. I testi sulla storia .della letteratura, e quelli teorico-critici, sono per lo più in inglese, perché in italiano non esiste una vera e propria letteratura sinologica. Ci sono ottimi libri singoli, ma non su ogni argomento. Non sapere l’inglese quando si fa una lingua orientale per me è una contraddizione. Certo, alcuni non scelgono un percorso che lo comprende, è chiaro, però è il primo biglietto di cui munirsi. L’ho imparato a mie spese: dopo la maturità non sapevo l’inglese, allora sono andato in Inghilterra e pian piano ho imparato da solo, così dovrebbero fare anche gli studenti oggi. Bisogna poi leggere tanto. In programma ci sono delle novelle che do in traduzione italiana. Le leggiamo alla luce del contesto  storico, sociale, culturale e letterario per comprendere l’evoluzione della Cina moderna tramite il mezzo letterario”. Quali sono i suoi principali interessi di ricerca? “La mia domanda è: capire come certi percorsi storici abbiano prodotto la contemporaneità. Ho trascorso vari anni in Cina. E le mie preoccupazioni, le mie curiosità e ipotesi di ricerca sono nate vivendo la Cina. Per indagare la complessità di questo grande continente è necessario ripercorrerne la storia. A me interessa scoprire come determinati comportamenti sociali, modi di interpretare e rappresentare la realtà nella Cina attuale si riconnettano a pratiche storiche tradizionali o moderne che li hanno strutturati caratterizzandoli. Questo mio interesse si riflette nelle lezioni – soprattutto
di Letteratura – in cui analizziamo i processi di costituzione, diffusione e formazione delle idee nel corso della modernità cinese”. Cosa consiglia agli studenti piùmotivati che intendono proseguire gli studi in questo settore?“Dipende dai percorsi che uno vuol fare, se si preferisce l’ambito economico o si vuole continuare a studiare.Le possibilità sono tante, soprattutto si può trovare lavoro lì. Non ci sono molte scappatoie, bisogna andare in Cina, stare il più possibile e imparare tutto quello che si può. È una strana esperienza, da un lato ti senti molto a casa, dall’altro provi una fortissima estraniazione.
I cinesi provano molta curiosità nei confronti degli occidentali, parliamo di un popolo che ha fatto della socialità il fulcro delle sue convenzioni. .In Cina non rimani mai solo, vieni sempre accolto da qualcuno, nellostesso tempo però le modalità di relazione interpersonale sono completamente diverse”.
Quali sono gli aspetti più affascinanti della vita in Cina?“Trovo che la Cina di oggi non sia in verità granché affascinante: è una società dove tutto ruota intorno allo sviluppo e alla crescita economica, dello Stato così come dell’individuo. Viceversa, trovo che sia immensamente interessante studiare
cosa succede quando una civiltà con un’impronta così definita poi, con lo sviluppo della modernità, decida di assorbire e appropriarsi dei contenuti culturali di stampo occidentale. Cercando di rielaborarli, ha prodotto inevitabilmente contraddizioni. Una tra tutte, il socialismo di mercato. Come è diventata la Cina negli ultimi 25 anni? Si è generata una competizione sfrenata: è un paese iper-capitalista, nello stesso tempo però è socialista, che in termini pratici vuol dire che tutto è supervisionato dallo Stato”. Ha programmi in cantiere che la vedono prossimamente impegnato? “Intanto, sto cercando di capire quale sarà il mio prossimo libro. Vorrei parlare dei tentativi costanti dello Stato cinese moderno di educare i soggetti ‘ideali’ della modernità cinese. Poi succederanno tante cose: convegni, iniziative, forse laboratori.
Sabrina Sabatino
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