Salvaguardare il patrimonio artistico, valorizzare la tradizione e le sedi storiche

A L’Orientale la routine universitaria continua grazie alla reattività di “un’ottima direzione che ha saputo rispondere prontamente all’emergenza”, e in particolare “al pugno fermo della nostra Rettrice che ha gestito in maniera encomiabile la situazione definendo prontamente una linea unitaria di comportamento per il corpo docente e adottando provvedimenti tempestivi per la didattica, il recupero degli esami e lo svolgimento delle lauree”, afferma il prof. Riccardo Naldi, ordinario di Storia dell’Arte Moderna. Risposte funzionali che testimoniano una coesione d’intenti anche dal punto di vista della politica accademica. “È ormai lontano il tempo in cui in questa Università si ragionava a piccole insule. Da dieci anni a questa parte, l’unico faro di riferimento è la ricaduta delle scelte in termini di utilità per l’Ateneo, non del singolo Dipartimento. Questa è stata la logica portata avanti negli ultimi tre Rettorati – nell’ordine di Pasquale Ciriello, Lida Viganoni ed Elda Morlicchio – e mi auguro che non vi sia alcun cambio di rotta in futuro”, afferma il docente ripercorrendo alcuni passaggi chiave della storia dell’Università. “Il cambio epocale si è avuto con la legge Gelmini che ha comportato il passaggio da nove a tre Dipartimenti: questo snellimento difatti ha reso indispensabile una maggiore coesione tra le parti, aumentando per noi tutti le occasioni concrete di interazione e dialogo”. Tuttavia, “è vero che a volte sappiamo poco di quello che fanno i colleghi”. Ed è per questa ragione che bisogna lavorare in direzione dell’interdisciplinarietà, “che di fatto già esiste, per stimolare gli incontri con i nostri studenti e far conoscere sempre di più la nostra ricchezza al di fuori”. Tra le indicazioni suggerite dal docente, che è stato peraltro Direttore dell’allora Dipartimento di Filosofia e Politica dal 2004 al 2009, per la futura gestione rientra “lo sforzo di sopperire a certe lacune organizzative e logistiche”. Anni fa l’Ateneo “ha compiuto la scelta di un presidio nel centro storico di Napoli, scelta che confligge con l’idea di Università di massa, poiché i nostri ambienti non sono nati per accogliere platee così numerose”. Diversamente da ciò che hanno fatto altri Atenei “andandosi a collocare in zone periferiche o su un raccordo anulare, la nostra volontà incontra chiaramente dei problemi legati alla capienza delle aule e agli spostamenti tra le sedi”: un aspetto quest’ultimo già segnalato dalle CEV (Commissioni di esperti della Valutazione) durante la visita di novembre. È importante, dunque, che il prossimo Rettore s’impegni a valorizzare le tradizioni dell’Ateneo, anche in virtù delle nuove sfide all’orizzonte tra cui l’internazionalizzazione. “La paura è che questo virus lasci una patina oscura sulle bellezze della nostra città, in un periodo tra l’altro in cui aveva finalmente preso piede una politica regionale orientata alla tutela e messa in luce dei beni culturali. Speriamo che questi paesaggi vuoti siano soltanto un brutto ricordo, di poter al più presto tornare nei luoghi di cultura e accogliervi visitatori stranieri”. Giungono anche a L’Orientale ogni anno numerosi studenti incoming, vista la tradizione di grande apertura dell’Università che coltiva legami con oltre cento istituzioni straniere. “Spesso agli studenti che vengono da fuori chiedo il motivo del loro interesse per l’Italia. Mi dicono che sono affascinati dalla lingua e dall’arte. Abbiamo allora il dovere di essere ancora più attrattivi”. Non tutti sanno, ad esempio, che “la nostra città offre una stratificazione artistico-archeologica che va dai villaggi della preistoria con gli scavi a Nola fino all’estrema modernità della metropolitana più bella al mondo”. Già durante il Rettorato Viganoni, “ci siamo mossi in questo senso per ottenere delle residenze universitarie, come quella di via Brin che tutt’oggi va avanti”. Un nodo da sciogliere è “l’ex mensa di Palazzo Giusso, i cui locali potrebbero essere adibiti ad aule studio”. In cima agli interventi di politica virtuosa, in sintesi, figurano due propositi: “migliorare l’efficienza degli spazi e incrementare le azioni di reclutamento dei ricercatori per sopperire ai pensionamenti”. Nello specifico, però, “la storia dell’arte gode di un ottimo stato di salute, poiché si è investito molto in questo settore”. La cattedra, fondata negli anni Settanta, “collabora inoltre con tutto il sistema degli enti di tutela pubblici e privati preposti alla salvaguardia del patrimonio artistico della Campania” (musei, biblioteche, archivi, soprintendenze, gallerie e fondazioni private). Di recente, proprio all’interno del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, in cui il docente è incardinato, “abbiamo iniziato a lavorare a una collana di studi intitolata ‘la custodia della memoria’. Un segno per comunicare all’esterno l’importanza di tener vivo il ricordo del passato. Non che non ci piaccia collaborare ogni anno anche a mostre ed eventi, sia chiaro. Sarebbe, però, significativo insistere su una dimensione di tipo strutturale, quelli che io chiamo ‘gli ammalati gravi’. A volte agli storici dell’arte si chiede: ‘Che senso ha salvare un’opera che cade a pezzi?’ Perché l’opera d’arte, anche se non è firmata da Caravaggio, porta il segno del tempo”. La collaborazione con enti esterni risulta strategica anche in virtù del sostegno a nuovi progetti di ricerca. “Il mio sogno sarebbe rivalutare le sedi storiche dell’Ateneo e creare un percorso di visite museali tra questi edifici”. Per esempio, si trova nel cuore della città Palazzo Corigliano, “luogo che vanta una ricchissima storia artistica, cominciata in epoca greco-romana, visibile oggi negli stili del Cinquecento, negli affreschi delle Biblioteche o nel prezioso Gabinetto degli specchi, stanza quest’ultima realizzata in pieno gusto settecentesco che deve essere restaurata e restituita alla collettività”. Anche Palazzo Giusso, spiega il docente, “era una delle più importanti residenze nobili della Napoli del Cinquecento. Appartenuto a un viceré di Napoli, conserva decorazioni interessanti ed eclettiche”. In Largo di San Giovanni Maggiore si situa la Cappella Pappacoda, “un mirabile esempio di tardo-gotico, chiusa da sei anni in seguito alla caduta di calcinacci. Se riuscissimo a mantenere il comodato d’uso, ritengo che si possa intervenire con il restauro e la riqualificazione di questo spazio senza incorrere in grandi spese”. Un progetto ambizioso, già presentato dal docente durante il precedente Rettorato e che “vorrei riproporre anche al futuro Rettore”, dal momento che potrebbe tramutarsi in “un’occasione di traino per gli studenti. Sarebbero le guide di questi luoghi, riuscirebbero a fare esperienza lavorativa e trarne fonte di guadagno”. Del resto, simili processi sono già avvenuti con successo in altre Università. “Ma non sempre abbiamo piena coscienza dei beni che possediamo, perciò con perseveranza dobbiamo provare ad accrescere le nostre potenzialità e trasformarle in risorsa per il territorio”.
 
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